Nel 1943, all’imperversare della Seconda guerra mondiale, Napoli si trovava nella morsa tedesca. L’esercito della grande potenza teutonica stava piegando, incontrastato, o almeno credeva, la città partenopea. Rumori di spari con grida di morte accompagnavano lo scempio dei Tedeschi quando, inaspettatamente, i civili insorsero in una protesta corale. Un esempio di orgoglio e forza di crederci anche quando tutto sembrava perduto ricevette un significativo impulso, in un primo momento, dai ragazzini. Fu, infatti, proprio un giovane scugnizzo, Gennaro Capuozzo – conosciuto col diminutivo di Gennarino –, a radunare i suoi coetanei per battersi contro i temuti nemici.
Nato solo undici anni prima nel centro storico, in un’umile famiglia a cui presto si sarebbero aggiunti altri tre fratelli, Gennarino fu costretto a diventare presto un adulto, come tanti altri bambini dell’epoca, e a lavorare come apprendista commesso. A otto anni, quando suo padre era partito per la guerra, era già divenuto il capofamiglia, e con dignità aveva risposto a quel ruolo dando un solido sostegno alla madre e ai fratelli, che affrontavano i difficili mesi bellici, fatti di fame e bombardamenti.
Quando, l’8 settembre 1943, il maresciallo Badoglio firmò l’armistizio, l’esercito italiano rimase senza ordini mentre i Tedeschi passarono dall’essere alleati a nemici. Alla loro spietata azione risposero i napoletani, e la mattina del 28 settembre, il giorno dopo l’inizio delle Quattro Giornate, quando Gennarino uscì di casa per andare a lavorare, ci fu un cambio di rotta. Dopo aver assistito agli spari su tre persone davanti a un panificio, il ragazzino tornò indietro, salutò sua madre, Mammà, nun m’aspetta’, tornerò quann Napule sarà libera, e corse ad aiutare i suoi giovani compagni. Quel piccolo uomo si aggirò tra i soldati caduti e tra le caserme di via Foria e di via San Giovanni a Carbonara per procurarsi una grande quantità di armi, grazie alla quale gli scugnizzi poterono opporsi alle forze tedesche. Ma Gennarino non si limitò alla caccia di mezzi di combattimento, fu anzi tra i primi a battersi attivamente. La sua impavidità fu d’esempio per chi, inizialmente, era troppo spaventato per lottare, ma che rimase poi profondamente colpito dalla tenacia di quello che era soltanto un ragazzino.
Il 29 settembre Capuozzo non esitò a scagliarsi con i suoi compagni contro un camion dei nemici, e grazie all’uso di mitragliatrici e bombe a mano, li costrinse alla resa. Tale successo lo incoraggiò a non fermarsi nell’impresa che, però, si rivelò per lui fatale. In via Santa Teresa degli Scalzi, mentre tentava di contrastare un carro armato tedesco, fu colpito da una granata.
Gennarino perse la vita lasciando soli i suoi fratelli e la madre, ma fu anche grazie a lui se i soldati tedeschi si trovarono così indeboliti da dover abbandonare la città il giorno successivo. Appena dodicenne, così recita la motivazione alla Medaglia al valor militare che gli fu attribuita, durante le giornate insurrezionali di Napoli partecipò agli scontri sostenuti contro i Tedeschi, dapprima rifornendo di munizioni i patrioti e poi impugnando egli stesso le armi. In uno scontro con carri armati tedeschi, in piedi, sprezzante della morte, tra due insorti che facevano fuoco, con indomito coraggio lanciava bombe a mano fino a che lo scoppio di una granata lo sfracellava sul posto di combattimento insieme al mitragliere che gli era al fianco. Prodigioso ragazzo che fu mirabile esempio di precoce ardimento e sublime eroismo. Napoli, 28-29 settembre 1943.
A Gennarino bastarono due giorni d’intrepido coraggio per segnare la storia di Napoli, contribuendo a rendere possibile la liberazione della città da un nemico che sembrava invincibile.