Se un corridore deve per forza individuare un avversario da battere, lo cerchi nel se stesso del giorno prima. – Haruki Murakami, L’arte di correre.
Disciplina, ritmo, costanza. Tre caratteristiche probabilmente necessarie per ambire al successo in qualsiasi mestiere, per qualunque obiettivo. Chi, però, pensa esistano professioni facilmente compatibili tra loro, attività che ben si sposano ad altre, difficilmente immagina di associare la scrittura e la corsa.
Haruki Murakami è uno dei più noti romanzieri giapponesi, e deve, per sua stessa ammissione, alla pratica della corsa – dapprima amatoriale, poi professionistica – il successo della sua letteratura. Lo scrittore nipponico – classe 1949, firma di capolavori come Norwegian Wood, Kafka sulla spiaggia, 1Q84 e Dance, dance, dance –, infatti, racconta il proprio personale rapporto con le scarpe da ginnastica e le strade del mondo nel libro autobiografico L’arte di correre.
Scritto a cavallo tra il 2006 e il 2008, L’arte di correre è una bella, sincera, cruda e a tratti sofferta fotografia che immortala l’autore originario di Kyoto alle prese con i costanti allenamenti, le gare e le maratone a cui ha preso parte in giro per ogni terra conosciuta, accompagnati dal giornaliero impegno per l’attività letteraria.
Nel volume, edito da Einaudi, il rapporto tra corsa e scrittura si dimostra diretto, complementare, lontano dal romantico immaginario comune che vuole nel ritmato andare tra boschi e sentieri un’inestimabile e inesauribile fonte d’ispirazione. Correre vuol dire disciplina, regolarità, un ottimo rimedio alla vita altrimenti sedentaria del romanziere, prima accanito fumatore, poi, uomo forte nel carattere e nella determinazione, doti entrambe necessarie alla pratica delle due attività ormai protagoniste del suo quotidiano.
Così come la preparazione a una corsa o a una maratona è un progetto a lungo termine raggiungibile tramite allenamenti costanti e un impegno quotidiano, così la stesura di un romanzo trova compimento pagina dopo pagina, con i capitoli che fioriscono di parole, frasi e fantasia. Non importa vincere, il premio, lo scopo, per l’autore, è nel senso di soddisfazione che lo pervade al raggiungimento dell’obiettivo prefissatosi.
Era il 1981 quando Murakami chiuse il Peter Cat, il jazz bar di sua proprietà che lo costringeva a ritmi e orari insostenibili, per dedicarsi unicamente alla scrittura. Un cambio radicale delle proprie abitudini che gli fece crescere dentro la necessità di dare ordine e rigore ai suoi giorni. È così che, da quel momento, ogni mattino, di buon ora, l’autore nipponico siede alla scrivania per circa quattro ore lavorando ai suoi libri, poi allaccia le stringhe e corre dieci o più chilometri.
Negli anni, ha preso parte a gare di ogni lunghezza e durata, dalle corse 5 Km, alla prima maratona in Grecia, poi le celebri di New York e Boston, concedendosi persino la presenza a un’ultramaratona (100 Km) e qualche apparizione in gare di triathlon.
Scrivere – sostiene Murakami – è un’attività pericolosa, una perenne lotta con i lati oscuri del proprio essere ed è indispensabile eliminare le tossine che, nell’atto creativo, si determinano nell’animo di uno scrittore. L’attività motoria, il metodo, la costanza assumono, quindi, il valore di una vera e propria strategia di sopravvivenza.
Corsa e scrittura viaggiano sullo stesso binario, spinti dalla stessa corrente, conservano lo stesso ritmo, assieme sono metafora della solitudine tra la folla propria del mestiere dello scrittore, ambedue rappresentano la forza per interrogare i propri limiti, superare gli ostacoli, le pagine bianche, le difficoltà della vita.
Non mancano, ovviamente, i riferimenti alla musica, costante della letteratura di Murakami. Essa è compagna e musa, un’irrinunciabile presenza.
L’Arte Di Correre è una lettura che scorre veloce come i passi del corridore sui propri sentieri, silenziosa come le domande che lascia insinuarsi sotto la pelle di chi la affronta.
Voglio pensare ai fiumi. Voglio pensare alle nuvole. Ma in realtà non penso a niente. Semplicemente continuo a correre in un silenzio di cui avevo nostalgia, in un comodo spazio vuoto che mi sono creato da solo. E dicano quel che vogliono, ma è una cosa fantastica!