Sono varie e discordanti le teorie che si snodano attorno alla nascita di una delle melodie più affascinanti del pianeta, il flamenco. Quel che appare certo, però, è che la forma attuale – conosciuta, amata, riprodotta e invidiata in tutto il mondo – si sviluppò definitivamente nel diciottesimo secolo da una fusione di musiche zingare, gitane, ebraiche, bizantine e arabe, insistenti nella zona a sud della Spagna che si estende attorno al fiume Guadalquivir, l’Andalusia.
Quella gitana era una cultura principalmente orale, pertanto, le canzoni delle sue comunità venivano tramandate di generazione in generazione attraverso le esibizioni dal vivo che caratterizzavano i momenti di aggregazione. La personalità di quei popoli, la loro capacità interpretativa e lo spirito ribelle che ne caratterizzava l’essere donarono al flamenco un’anima profonda e sincera che, ancora oggi, risuona di libertà dalla prima all’ultima nota.
L’interesse verso il celebre canto andaluso, però, si allargò oltre ogni confine solo nel tardo Novecento, grazie all’attività di diffusione a opera di artisti di fama internazionale e poeti di tutto il mondo. No, non avete letto male. Il flamenco, sin dalle sue origini, infatti, nacque come un canto solista, senza strumenti o ballerini a scandirne il tempo o a seguirne e animarne le note. L’avvento della danza, che accompagna la vocalità dei cantanti con le ritmate coreografie delle mani e dei piedi, è un orpello che ha ornato la musica solo recentemente, e a favore di eventi e spettacoli, così come la celebre chitarra classica, oggi insegnata anche in conservatori e scuole di tradizione. Nato come espressione popolare, il flamenco è ormai il principale protagonista delle feste che colorano le sere d’estate con i loro festival tematici, o delle cene-spettacolo delle numerosissime taverne spagnole.
Nonostante amatori o semplici appassionati non facciano alcuna fatica a riconoscere la sua sensuale ballata, il flamenco si dirama, nelle sue diverse decine di atmosfere, come la coda di un pavone. I suoi stili musicali, i palos, sono presenti, infatti, tra le cinquanta e le novanta varianti. I criteri che ne classificano le peculiarità sono ritmo, tonalità, velocità e melodia. Si passa, dunque, dalle vivaci alegría, alle struggenti soleá, dalla gioia delle bulería, fino alla disperazione cantata dalle siguiriya.
Sono tanti gli artisti che hanno contribuito alla diffusione di queste meravigliose note in ogni parte del mondo: ballerini, cantanti, chitarristi, gruppi musicali e compagnie di spettacolo. A Joaquin Cortés, danzatore classe Sessantanove nativo di Cordova, ad esempio, l’Andalusia deve gran parte della sua espansione mediatica. Le straordinarie coreografie del ballerino, infatti, sono rimbalzate da Madrid all’Opera House di New York, passando persino per il Cremlino di Mosca, oltre che sulle tv di tutto il globo.
Tuttavia – e solo per una questione di gusto dell’autore di questo scritto – l’artista che più di ogni altro incarna la malinconia, la nostalgia, la passione, la festa, l’anima di quel canto del Sud, è il chitarrista Paco de Lucía.
Jazz, pop, blues, rock, de Lucía fuse nell’essenza del flamenco ogni genere musicale conosciuto, divenendo presto fonte di ispirazione per tutta la schiera di musicisti che, dagli anni Settanta, ne ha seguito le orme. Figlio di una famiglia di chitarristi di flamenco, cominciò a suonare alla tenera età di cinque anni, per non fermarsi mai più. Le radio andaluse scommisero su di lui ancora giovane, la capitale spagnola lo accolse allo sbocciare dell’adolescenza prima di vederlo partire per gli Stati Uniti dove, unitamente al fratello, conquistò gli applausi degli americani.
Il 18 febbraio del 1977, il Teatro Real di Madrid, per la prima volta nella sua gloriosa storia, aprì le porte al flamenco e a Paco de Lucía in quanto principale interprete della chitarra classica spagnola. Nella sua lunga, straordinaria e irripetibile carriera, il musicista confezionò ben trentatré album e migliaia di canzoni, suonando al fianco dei più rappresentativi artisti, musicisti e cantanti ispanici e del mondo intero. Entre dos aguas è il pezzo che lo consegnò all’immaginario collettivo, le note che chiunque conosce, che chiunque commuovono dal primo all’ultimo arpeggio.
È fugace, il flamenco, come l’estate che ne ospita le melodie. È carezza e tempesta, calore e smarrimento. Lascia dentro l’animo di chi se ne imbatte la sua musica zingara. Come una danza suona l’amore, il fuoco, la sofferenza, la malinconia di una terra, l’Andalusia, che si lascia cullare, custodire, raccontare e cantare dalle sue romantiche note.