Chi non legge, a settant’anni anni avrà vissuto una sola vita: la propria. Chi legge avrà vissuto cinquemila anni: c’era quando Caino uccise Abele, quando Renzo sposò Lucia, quando Leopardi ammirava l’infinito, perché la lettura è un’immortalità all’indietro.
Quando Umberto Eco diede alla luce questo pensiero, probabilmente non immaginava quali sorti avrebbero atteso l’universo editoriale e la pratica – oramai sempre più rara – della lettura di testi narrativi. Che fosse d’evasione o d’immersione, un viaggio di scoperta oppure una ricerca dell’oblio, mai avremmo pensato che il suo ruolo di fedele compagna potesse vacillare nella quotidianità delle persone.
Pare orribile a dirsi, ma adesso anche chi non legge può dire di aver vissuto molteplici vite. I libri, difatti, non sono più l’unico medium possibile per scivolare in mondi fittizi complessi e destinati a durare del tempo. Non ci si riferisce semplicemente alla cinematografia, bensì alla nascita di un nuovo strumento narrativo, ossia quello delle serie televisive. A differenza dei lungometraggi, queste ultime possono accompagnare gli spettatori per interi mesi, attraverso nottate insonni, offrendo nuove occasioni per eclissarsi ed evadere dalla stanchezza esistenziale della realtà. Sono in molti a preferire, oramai, questa nuova forma di narrazione, destinando spesso i libri ad avere una funzione prettamente informativa, di studio.
Non mancano, poi, le conferme del mercato editoriale, il quale denuncia il progressivo restringimento della fascia dei cosiddetti lettori forti, in favore di quella dei fruitori occasionali. Si urla, quindi, allo scandalo, scoprendo che molti italiani leggono in media meno di un libro all’anno e che, superata l’età delle letture scolastiche obbligatorie, sono in pochi a continuare ad acquistare romanzi e racconti d’autore. Per quanto doloroso, questo cambiamento culturale sta avvenendo.
L’intento di questa breve indagine non è, in alcun modo, quello di stabilire una gerarchia tra i principali canali narrativi a disposizione degli uomini in questi ultimi anni, piuttosto quella di interrogarsi sul perché abbia ancora valore immergersi in una lettura, darle ancora – dopo tutto questo tempo – la possibilità di raccontarci nuove storie e di mostrarci la bellezza dell’incontro tra la nostra narrazione e quella fittizia degli universi raccontati.
Tale riflessione, in realtà, nasce proprio durante la lettura di un libro, La verità sul caso Harry Quebert, un romanzo di settecentosettanta pagine, famoso non tanto per la ricercatezza della propria scrittura – a tratti molto semplice e prevedibile – bensì per la capacità del suo autore, Joël Dicker, di intrappolare l’attenzione dei suoi lettori in un vortice di giochi temporali e suspence. Chi scrive si è, difatti, a lungo interrogato sul perché avesse preferito, per ore intere, restare sotto le lenzuola a scoprire il vero assassino di Nora Kellerman, e non dedicarsi al solito binge watching da sessione estiva oppure alla maratona dei film di Quentin Tarantino.
Probabilmente, perché il volto di Rustin Cohle in True Detective, le spade di Kill Bill, il modo di ridere di Barney in How I met your mother esistevano già, erano già stati ideati, mentre la foresta in cui la quindicenne del romanzo scompare viene continuamente creata dai lettori, dalla loro immaginazione, così come la casa sul mare di Harry Quebert e le voci di tutti i protagonisti della narrazione. Questo atto creativo, anche se non del tutto cosciente, lega profondamente il lettore alle storie con le quali entra in contatto, a prescindere dalla loro qualità intrinseca. E questa stessa peculiarità, quella, quindi, di poter partecipare alla dipintura delle narrazioni di cui ci innamoriamo, è offerta costitutivamente dai libri che leggiamo e non può coesistere, per ovvi motivi, nella struttura di altri canali narrativi. Ciò non rende i libri migliori o peggiori di altre fonti, ma li rende unici nel loro modo di renderci attivi, nell’intrecciarci, nel lasciarci perdere i confini con le vite, gli scenari e i dettagli a cui stiamo dando forma.
Riscoprendo quest’occasione irripetibile, sarà possibile dare ancora una speranza di salvezza al mondo – non così vetusto, come vorrebbero farci credere – dell’editoria, consegnando ai lettori che verranno la possibilità di essere i libronauti del futuro.