Nel viaggio intrapreso tra alcuni italiani all’estero, abbiamo intenzionalmente intervistato giovani e meno giovani con motivazioni ed esperienze diverse, ma con una volontà comune di vivere appieno la propria scelta non necessariamente condizionata da esigenze contingenti.
Dopo aver incontrato la giovane siciliana insegnante in Florida e il ricercatore veneto in Pennsylvania, ci spostiamo in Germania dove, nella metà degli anni Sessanta, un giovane siciliano di Giardini Naxos, classe ’42, appena conseguito il diploma, fatto le prime esperienze lavorative e studiato il tedesco da autodidatta, a ventiquattro anni decise di trasferirsi – tiene a precisare – nella bella terra di Baviera.
Pancrazio Antonino La Spina, questo il suo nome, l’ho conosciuto su un social network incuriosito dai suoi molteplici interventi di varia natura, sempre appassionati e pertinenti.
Dopo avergli proposto questa intervista, l’ho sentito al telefono e, con la disponibilità e la cortesia tutte siciliane, ha risposto ad alcune domande cambiando decisamente voce e tono quando abbiamo parlato di poesia, come sempre accade con i poeti autentici.
Gli accordi bilaterali tra Italia e Germania del 1955 permisero un consistente flusso di lavoratori italiani in Germania, fenomeno durato fino ai primi anni Settanta a seguito del blocco delle politiche di reclutamento, il cosiddetto anwerbestopp, periodo nel corso del quale decidesti di trasferirti – evito non a caso il termine emigrasti – in Baviera. A soli ventiquattro anni lasciasti la terra di Sicilia per un Paese notoriamente sotto zero per circa cento giorni all’anno, quale la vera motivazione?
«Arrivai in Baviera in pieno inverno dopo un viaggio in treno di ventiquattro ore. Mi accolse un paesaggio alpino innevato. Mi innamorai subito dei luoghi. Era il gennaio del Sessantasei, ed ebbi una proposta di lavoro della quale poi non si fece più nulla, cambiai città e trovai impiego come tecnico che mi diede la possibilità di girare mezza Germania.»
Dopo appena tre anni, anche se per motivi personali, tornasti in Italia dove trovasti lavoro per poi ripartire – o meglio scappare – dopo un anno. Proprio non ti andava il Bel Paese di quegli anni?
«No, anche se speravo nel contrario. Troppe le differenze nel campo del lavoro, nel sistema e nei modi di lavorare. Mi ero già troppo abituato al modo aperto e schietto con cui si lavorava – e si lavora – e al modo di vivere in Germania, dove, se hai volontà, se ci sai fare, se ti impegni, puoi riuscire. Puntualità, collegialità, sincerità appartengono alle regole non scritte. Le “raccomandazioni” non esistevano e direi che sono ancora sconosciute nel mondo del lavoro. Forse anche per tale motivo scelsi di andare per la mia strada; non mi andava, per educazione e convincimento, di sottostare a tali aberranti metodi, come anche l’avventurarsi in “concorsi”, che in Germania non ci sono, almeno nella misura e nella sproporzionata forma e partecipazione dei concorrenti per pochi posti disponibili, spesso assegnati sottobanco.»
Dopo aver svolto per alcuni anni la tua attività di tecnico specializzato e aver lavorato in importanti aziende, decidesti di dare un cambio di rotta alla tua vita professionale appassionandoti allo studio delle lingue. Fu un cambiamento dovuto a esigenze di natura economica o la concretizzazione di un sogno per un lavoro di diversa natura a te più congeniale?
«Le lingue mi avevano sempre appassionato, specie quella tedesca. Ricordo di aver visto un giorno in spiaggia, al mio paese, un giovane immerso nella lettura di un libro. Curiosai e scoprii dei caratteri di un’ortografia dall’immagine affascinante. Il tedesco è vario nella grammatica, nella sintassi e nell’espressione. All’italiano comune sembrerà ostico, ma non lo è: la lingua tedesca è espressiva, musicale e, sì, anche dolce. Ebbene, volli abbinare le conoscenze tecniche e quelle linguistiche, cosa non proprio di tutti, una visione che perseguii caparbiamente.»
Il mondo della scuola, dell’insegnamento, della passione del trasmettere agli altri la conoscenza delle lingue fu una consapevolezza determinata da esigenze di quei tempi anche per migliorare la qualità della vita di quanti si traferirono dall’Italia con scarsa istruzione e, tanto meno, la conoscenza della lingua del Paese ospitante?
«Mi diedi anche all’insegnamento dell’italiano a studenti tedeschi per maturata passione – da giovane davo già lezioni – ma anche per necessità di guadagno, avendo intrapreso da poco la professione libera di traduttore e interprete. Abbandonai l’insegnamento solo in seguito, per cresciuti impegni di lavoro.»
Cosa ti è rimasto di siciliano dopo tanti anni di permanenza in Germania, oltre alla poesia che so esserti sempre stata molto cara e aver pubblicato tre libri?
«Cosa mi è rimasto di siciliano? I ricordi, gli affetti, le amicizie, l’amore per la terra e la sua storia, il dialetto, la cultura in generale. Da ragazzo e da giovane ero già molto riflessivo e non mi lasciavo andare in esuberanze, un lato consono al carattere proprio del popolo tedesco. Oggi posso dirmi – comunque già da tempo – un mitteleuropeo, un cosmopolita, che ama vivere nel paese che lo ha formato culturalmente, che gli ha offerto molte possibilità, in cui si è sentito accettato, nel quale ha famiglia e al quale è grato.»
Una poesia a te molto cara dedicata alla tua terra?
«METAMORFOSI
Ho smesso la mia pelle,
lasciato alle spalle
luce che a nudo mette
ogni cosa
per altra sfocata,
la risacca del mare
per acque immote,
oliveti per abetaie;
eppure
non m’intristisce pioggia
e folto di betulle
grondanti nebbia
o anelito di estati
e pleniluni.
Scoramento mi prende
alla vista di tetti sgrondati
e muri ciechi.»
Manda un messaggio alla tua terra magari con dei versi scritti per l’occasione, in anteprima per quanti seguono il nostro giornale.
«Avesti da me, mia terra natia, tante dimostrazioni di affetto, ma pure di rabbia, rabbia non rivolta a te come Madre Terra, bensì nei confronti dei tuoi figli, spesso e in molte cose ingrati e poco attenti al rispetto di Te.»