Brucia il Vesuvio, brucia il gigante che sorveglia Napoli, che la intimorisce e, al contempo, la protegge, brucia nella complice indifferenza di stampa e istituzioni. Sono giorni, ormai, che le fiamme divorano la flora del vulcano partenopeo e sollevano in aria nuvole fitte di fumo grigio, un irrespirabile vento di cenere e spazzatura. Da qualsiasi lato lo si osservi, dalla Penisola Sorrentina, a Posillipo, lo scenario proposto assomiglia a quello di un’eruzione in piena regola, l’incubo che si fa realtà. Nessuno ha scampo.
La nube insiste sull’area vesuviana, si è estesa fino all’avellinese, ha sepolto case, palazzi, ristoranti e hotel lungo le pendici, e il rumore dei motori di elicotteri e canadair è l’unica colonna sonora degli abitanti della zona, tutto il resto è un insopportabile, omertoso silenzio.
La camorra, come ogni estate, mette a fuoco diverse aree del territorio campano, sfrutta il caldo e i venti favorevoli, soprattutto, si avvale dell’inefficienza dello Stato e della rassegnazione della gente in balia di questo garantismo al contrario. Dove sono i nostri rappresentanti quando abbiamo bisogno di loro? Dov’è la politica che in casi analoghi non esita a dichiarare l’emergenza nazionale, mentre in Campania lascia che insufficienti mezzi aerei, e il solito eroismo dei Vigili del Fuoco, fronteggino il più esteso incendio dai tempi proprio dell’ultimo risveglio del Vesuvio?
Chi ha pensato alla sciagurata cancellazione di una forza fondamentale come il Corpo Forestale, annettendolo all’Arma dei Carabinieri? E, soprattutto, perché l’esercito non è intervenuto sin dalle prime avvisaglie a tamponare una situazione che si capiva a partire dalla sua genesi sarebbe stata un disastro? Non si senta escluso l’Ente Regione, chiamato in causa anche da Legambiente, per i palesi ritardi nel piano di prevenzione, con i sentieri d’accesso mai puliti in primavera. Sono tutti colpevoli.
Due chilometri di incendi non sono frutto soltanto di politiche sbagliate, di caldi esagerati. Cosa c’è dietro tanta premeditazione? Le ipotesi sono molteplici, dai costruttori abusivi che reagiscono alla minaccia di confisca e demolizione di strutture fuori norma, alla pulizia dei terreni per prossime semine, fino alle discariche abusive di materiale tossico che verrebbe gestito dagli stessi clan che armano oggi i piromani. Nessuna va troppo lontana dalla realtà.
Subisce la gente del Sud, vittima di partiti troppo impegnati a trovare un nemico per distrarre gli umori figli dell’esasperazione per combattere il reale problema che affligge l’Italia: la collusione della mafia con le istituzioni. Come se non bastasse, il silenzio di quotidiani e tv, che hanno fatto passare la notizia in sordina, ha reso ancora più amara e insopportabile l’intera vicenda. Se, però, il prezzo di una prima pagina, un titolo in grassetto, è quello pagato a Libero, meglio tacere. Qualcuno spieghi ai napoletani come sia possibile che un giornale nazionale, che intasca fondi dal governo per stampare quella che risulta, a tutti gli effetti, una carta diffamante nei confronti di un intero popolo, possa permettersi tanta libertà e manipolazione dei fatti. Dare la colpa ai partenopei dei roghi e, addirittura, sentirsi parte lesa dai risarcimenti statali che vengono e verranno elargiti per l’emergenza, è un’offesa razzista, senza cognizione di causa, inaccettabile, per cui qualcuno dovrebbe pagare. Noi lo facciamo da sempre ma non impariamo mai.
È questa, a fronte di quanto scritto, l’amarezza più grande, da cui non riusciamo a lavarci. Il Sud, la Campania, Napoli che gioca il ruolo del sacco da boxe, che incassa, incassa, e ancora incassa, colpi sempre più violenti, e mai reagisce a questo indecente tentativo di desertificazione. Quando un popolo si rassegna a respirare cenere, le speranze di un domani bruciano assieme alle piante e alle terre.