Il suo ultimo romanzo, Allah, San Gennaro e i tre kamikaze, è già un successo letterario, sia in termini di vendite che di partecipazione. A distanza di pochi mesi dalla data di pubblicazione, infatti, il volume, edito da Mondadori, andrà a breve in ristampa, mentre il tour di presentazione riempie le librerie di qualsiasi città e paese. Il merito è da ricercarsi nell’inconfondibile sorriso dello scrittore napoletano, Pino Imperatore, quel gesto involontario del viso che il papà della fortunata Famiglia Esposito naturalmente adopera e altrettanto spontaneamente è capace di generare nei propri lettori.
Pino, nella sua Napoli, rimbalza tra i discorsi intrattenuti dai lettori con il suo solo nome di battesimo, appartiene alla gente. I napoletani sono così, non utilizzano il cognome per parlare di chi li porta in giro per il mondo, chiedete di Diego, Sofia, Pinuccio, Massimo, Edoardo e non avrete bisogno di aggiungere altro per scatenare un rincorrersi di ricordi e aneddoti. Chi non ne ha di propri, li inventa.
Lo abbiamo incrociato, Pino, nel luogo che meglio lo rappresenta, la libreria. Tra fotografie, autografi, dediche, battute con le quali intratteneva i presenti, ha risposto a qualche nostra curiosità sul suo ultimo libro e sulla sua scoppiettante carriera, ci ha dato qualche consiglio di lettura, qualche titolo che ha formato il suo percorso letterario, infine non ha lesinato un paio di consigli ai ragazzi che approcciano alla scrittura, chiudendo con uno scoop sulla famiglia più amata della comicità letteraria, gli Esposito.
Cominciamo dal tuo ultimo romanzo, Allah, san Gennaro e i tre kamikaze. Qual è la suggestione che ti ha ispirato, che ti ha fatto venire voglia di affrontare l’argomento del terrorismo di matrice islamica?
«Ho immaginato le possibili conseguenze dell’impatto fra due opposti modi di agire: quello dei kamikaze, orientato verso la morte propria e altrui, e quello dei napoletani, caratterizzato da un forte attaccamento alla vita e da una naturale propensione alla gioia. Uno scontro fra due mondi, che in fieri può trasformarsi in incontro.»
I tre protagonisti sono loro stessi reduci da grandi sofferenze. Quanto è stato difficile far coincidere questo aspetto crudo della loro formazione con l’ironia che invece è la spina dorsale, la costante dell’intera narrazione?
«Non è stata un’operazione semplice. Ho agito con la massima ponderatezza, ricercando un equilibrio, all’interno del testo, fra le parti spensierate e quelle aspre. Il riso nasce spesso dalla tragedia, come suo antidoto.»
Si può parlare di terrorismo con ironia?
«Sì. Io l’ho fatto. Con la dovuta attenzione nei confronti di una tematica così attuale e sconvolgente, che condiziona l’esistenza di tutti noi. E senza mai dimenticare le tante vittime innocenti del terrore.»
Il messaggio che il tuo libro si propone di portare al lettore è quello di costruire ponti anziché muri, integrazione anziché razzismo, insomma un no alla guerra, come invece spesso racconta la cronaca. Napoli è considerata un modello di integrazione per tante città d’Italia, a dispetto di molte altre realtà. Lo stile di vita partenopeo può essere davvero d’esempio a un mondo che guardi all’uguaglianza anziché all’emarginazione?
«Lo è da sempre. Napoli non ha mai respinto nessuno. Non ha mai impugnato le armi contro altre popolazioni se non per difendersi. Il popolo napoletano è uno straordinario melting pot che si è formato nell’arco di 2500 anni di storia. E questo processo è tuttora in corso.»
La città di Napoli è ancora una volta protagonista dei tuoi scritti. Quanto hanno inciso le tue origini sulla scrittura?
«Tantissimo. Napoli mi scorre nelle vene da generazioni e generazioni, e dà vita a ogni mia azione e a ogni mio pensiero.»
Altra tua grande prerogativa è la comicità. Hai trattato con ironia prima la camorra, poi un momento delicato della vita di ognuno come l’adolescenza, ora il terrore. Hai mai pensato di allontanarti da questa cifra stilistica? Ne hai mai sentito l’esigenza?
«Finora no. Se un giorno questa esigenza dovesse prendere il sopravvento, credo che non riuscirei a sottrarmi alla voglia di diluire la narrazione nell’ironia. Non posso farci nulla, è più forte di me: mi viene spontaneo inventare e raccontare storie che sfocino nel sorriso.»
Quali sono gli scrittori e i libri che ti hanno formato? E dei tuoi colleghi contemporanei chi segui con piacere?
«Fra gli autori che hanno fortemente influenzato la mia formazione, metto sul podio tre italiani e tre stranieri: Italo Calvino, Achille Campanile, Ignazio Silone, Ernest Hemingway, Gabriel García Márquez e José Saramago. Fra i contemporanei, nutro una profonda devozione per Joe R. Lansdale, Cormac McCarthy, John Irving, Haruki Murakami, Andrea Camilleri, Amélie Nothomb e Paul Auster. Sono tante le opere che mi hanno educato alla lettura e alla scrittura e che mi hanno lasciato segni indelebili nel cuore e nella mente; ne cito sette: I quarantanove racconti e Addio alle armi di Hemingway, Fontamara di Silone, Cent’anni di solitudine di Márquez, La metamorfosi di Kafka, Finzioni di Borges e Confesso che ho vissuto di Neruda.»
Che rapporto hai con i tuoi lettori?
«Di grandissimo affetto e partecipazione. Adoro incontrarli alle mie presentazioni e in altri eventi pubblici, sentire le loro opinioni e le loro risate, abbracciarli, ascoltare i loro consigli, saperli felici. Sono miei amici. Ci divertiamo un sacco. Senza di loro, io sarei una nullità.»
Che consigli senti di dare a chi vuole avvicinarsi alla scrittura e seguire le tue orme, ora che sei approdato anche in una delle più grandi realtà editoriali italiane?
«Farsi guidare dall’istinto e dalla passione. Migliorarsi giorno per giorno. Lavorare sodo. Sacrificarsi. Sperimentare. Dosare nel modo opportuno il talento e la tecnica. Leggere molto. Crearsi un proprio stile. Ricercare idee e storie originali. Non rivolgersi a editori a pagamento. Non mollare mai.»
Torniamo ai tuoi romanzi. Devo porgerti la domanda di cui qualunque tuo appassionato lettore vorrebbe conoscere la risposta: tornerà la Famiglia Esposito? Quando?
«La trama del terzo romanzo della saga degli Esposito è nella mia testa già da un po’ di tempo. Per motivi non dipendenti dalla mia volontà, non mi si è ancora presentata l’occasione di scrivere e pubblicare l’opera. Spero un giorno di dare concretezza a questo desiderio. Intanto vi do un’anticipazione sul titolo che avrà il romanzo: Tutti matti per gli Esposito. Che ne dite, vi piace?»