Il mio eroe, o antieroe, Alex, è veramente malvagio, a un livello forse inconcepibile, ma la sua cattiveria non è il prodotto di un condizionamento teorico o sociale: è una sua impresa in cui si è imbarcato in piena lucidità. La mia parabola, e quella di Kubrick, vogliono affermare che è preferibile un mondo di violenza assunta scientificamente a un mondo programmato per essere buono e inoffensivo… Arancia meccanica doveva essere una sorta di manifesto sull’importanza di poter scegliere.
Anthony Burgess quella violenza di cui ha fatto il tema principale del suo romanzo, Arancia meccanica, l’ha conosciuta per davvero. Allora viveva a Giava, in compagnia della moglie, la quale fu brutalmente pestata e violentata da un gruppo di soldati americani ubriachi. L’autore di quello che, a oggi, è dei più celebri romanzi della letteratura, assorbì quel tragico episodio, constatando quanto le reazioni umane, in particolar modo quelle violente, appunto, siano controllate come da un organismo a orologeria. È questo l’argomento che Alex, protagonista della narrazione, affronterà coinvolgendo il lettore, raccontandogli la propria storia.
Il quindicenne è a capo di una banda di giovani delinquenti in compagnia dei quali squarcia le notti della sua città con feroci pestaggi verso innocenti passanti. I quattro si imbattono in F. Alexander, uno scrittore intento nella stesura di un racconto dal titolo Arancia meccanica, ne distruggono la casa e violentano l’incolpevole moglie, che a seguito di quell’episodio si arrenderà alla morte. Alex diventa responsabile, quindi, dell’omicidio di una vecchia signora, e l’accaduto lo porta dietro le sbarre, dove la sua vita cambierà drasticamente.
Il ragazzo non cerca compassione nel suo parlare allo spettatore, tantomeno comprensione. Snocciola gli episodi di cui si rende protagonista con la stessa piacevole consapevolezza con la quale se ne fa artefice. Ama ascoltare la musica classica, e quel condannabile modus vivendi, impastato nel tremendo slang giovanile con cui colora ogni sua espressione, è semplicemente la sua scelta di vita.
Il carcere redime il giovane soltanto tramite la controversa cura Ludovico, un aggressivo sistema che porterà Alex a provare nausea al solo pensiero della violenza. Quella sua nuova incapacità a decidere le reazioni per ogni circostanza, costretto soltanto al bene, risulterà ben più violenta di quanto non fosse la possibilità di scegliere.
Il regista Stanley Kubrick fece suo il messaggio di Burgess e confezionò uno dei più celebri film degli anni Settanta, ancora di moda oggi nei cineforum degli amatori del grande schermo, riproducendo in maniera piuttosto fedele ogni accaduto del romanzo dal chiacchierato doppio finale. Arancia meccanica, infatti, suscitò una vivace disputa sulla duplice versione dell’excipit, una più morbida e di redenzione, l’altra che invece non apre ad alcun messaggio di rinascita.
Il libro, anche se ormai datato, è uno straordinario quanto moderno romanzo che genera un dibattito mai accantonato: il libero arbitrio. Ha ragione Brugess a sostenere che è preferibile un mondo di violenza assunta consapevolmente a un mondo, invece, disegnato per essere buono e inoffensivo? Alex e le sue assurde vicende non vi aiuteranno ad avere la risposta, tuttavia, l’idea di non avere scelta è forse davvero più crudele di qualsiasi delle sue malefatte.