Sono le chiacchere di quartiere le reali protagoniste di La voce dei vicoli, insolita detective story di Lael Moro, pseudonimo di Elena Montuono e Lalla Rotoli, edita da Homo Scrivens.
La morte sospetta del maestro di quartiere, conosciuto e benvoluto da tutti, dà il via a un’incalzante indagine condotta parallelamente dall’affascinante Tenente Mario Ruggiero e da due donne, Giovanna e Teresa. La trama investigativa è, tuttavia, solo un pretesto per raccontare una storia di amicizia e di amore. Colpi di fulmine e passioni nascoste condite da solidarietà femminile e beghe di vicinato.
La prosa scorrevole e accattivante conduce il lettore nella Napoli del dopoguerra, ferita dai bombardamenti e dalle privazioni ma pronta a ricominciare, lo accompagna vico mvico, come nella famosa canzone di Claudio Mattone, lo porta dove non si vede il sole ma c’è tutto il resto. Dietro le finestre, dentro i bassi o le botteghe scorre un’umanità piccola e grande, luogo di confine in cui pubblico e privato si confondono, intreccio di vivacità e disagio esistenziale, gioia e dolore.
Vicoli che Pietro Treccagnoli ha definito labirinto obliquo che ancora oggi mette in comunicazione la città antica e quella moderna. Nel corso dei secoli sono stati teatro di tragici avvenimenti della storia di Napoli, come le numerose epidemie di peste e colera, causate dalle precarie condizioni igieniche. Da sempre cuore pulsante della città, paradigma della cultura en plein air propria dell’anima dei napoletani, con panni stesi ad asciugare al sole tra edicole di santi e bancarelle, nel bene e nel male non ci si sente mai soli; ci sono sempre occhi che osservano, guardano, aspettano. Qui sopravviveva un senso di comunità e le persone si preoccupavano sinceramente le une per le altre, si mantenevano solide relazioni sociali, necessarie per sopravvivere ed esercitare l’arte di arrangiarsi.
Vicoli, angiporti, fondachi visti come simboli di un mondo fantastico e pittoresco, descritti da scrittori e viaggiatori fin dal Medioevo, cui non si è sottratto neppure il teatro di Eduardo quando in Napoli Milionaria ci presentava gli abitanti dei bassi come i classici di una cultura tutta partenopea che, nonostante l’abbandono di Dio e degli uomini, riuscivano a sopravvivere grazie a una filosofia del tutto originale.
Una realtà storica e socio-economica la cui vera fisionomia è rimasta sconosciuta. Vi sono tanti napoletani nei vicoli di oggi ma spesso i nuovi abitanti sono extracomunitari che tendono a suddividersi per nazionalità, oramai in alcune zone si parlano solo idiomi sconosciuti e il profumo del ragù si mescola a essenze esotiche. Questa variazione antropologica, insieme al dilagare delle attività illegali della criminalità organizzata, ha mutato radicalmente anche l’economia del vicolo, accompagnata dalla scomparsa di tanti mestieri tradizionali che davano luogo a un microcosmo autonomo e autosufficiente, quello che rendeva Giovanna con il suo banchetto, Teresa e le compagne sartine, la capera, il lattaio e il commerciante, il nobile e il portinaio capaci di alimentare il sistema economico e produttivo del luogo in cui vivevano.
Nel romanzo di Lael Moro c’è la città più intima, popolare ma non folcloristica, quella dei film di De Sica che, tra ironia e realismo, racconta un’amarezza dignitosa, l’allegria di chi sa accontentarsi senza rinunciare a una speranza audace. Una resilienza quotidiana e silenziosa narrata senza enfasi dai personaggi stessi, dalle loro storie personali. L’epilogo a sorpresa conferma una leggerezza riflessiva, il finale aperto suggerisce nuovi indiscrezioni. Smentito il famoso detto chiacchiere e tabacchere e’ lignamm o’ Banco ‘e Napule nun ne ‘mpegna, Le voci dei vicoli hanno il loro valore e prendono ancora il sopravvento, le parole corrono, corrono, forniscono lo spunto per fatti inediti da ritrovare in un nuovo, avvincente racconto.