Giugno è il mese dei Gay Pride, vale a dire delle parate dell’orgoglio omosessuale che colorano le vie e le piazze delle città. Per intenderci, parliamo di quelle manifestazioni e di quelle sfilate che i benpensanti, in ogni occasione, non si risparmiano di definire un’oscena carnevalata.
Quest’anno il Pride è arrivato per la prima volta nella storia anche in terra di Basilicata – precisamente a Potenza – una regione che, per via del suo essere costantemente tagliata fuori, sicuramente più di altre ancora fatica a rapportarsi con determinate tematiche. Non a caso, anche nel capoluogo lucano, non sono mancate forme di dissenso esternate da gruppi di cattolici intransigenti e neofascisti e da cittadini timorosi di assistere a chissà quale rito demoniaco che, tuttavia, non hanno potuto arrestare la ventata di novità che l’evento ha portato in una città stantia come quella di Potenza.
Sarebbe utile, però, spiegare ai vari detrattori della Festa dell’Orgoglio che vi è una ragione ben determinata e di ordine storico alla sua base che può tornarci utile per comprendere sia le motivazioni per le quali questo tipo di manifestazioni venga celebrato nel mese di giugno, sia quelle per le quali le stesse abbiano un carattere vivace, eccentrico, colorato, forse a tratti poco sobrio e sopra alle righe, ma sicuramente mai volgare.
Il Pride nasce come risposta all’ottusità, alla chiusura, all’astio della società occidentale che fino a tutti gli anni Sessanta, e anche oltre, non si limitava a produrre solo violenza verbale – come avviene ancora oggi – ma portava a delle vere e proprie persecuzioni e a dei rastrellamenti su larga scala – con tanto di soprusi e angherie, perpetrati anche e soprattutto dalle forze di polizia – ai danni della comunità LGBT negli Stati Uniti, ma non solo.
Tale terribile situazione si protrasse fino a una data, divenuta ormai un simbolo, il 28 giugno 1969, quando si registrarono i cosiddetti moti di Stonewall. Questi moti furono una serie di violenti scontri fra gruppi di omosessuali e la polizia di New York. La prima notte dei conflitti fu quella di venerdì 27 giugno, poco dopo l’1:20, quando gli agenti irruppero nello Stonewall Inn, un bar gay in Christopher Street nel Greenwich Village, oggi divenuto museo ufficiale per la cultura LGBT. Stonewall, quindi, è simbolicamente considerato il momento di nascita del movimento di liberazione gay moderno in tutto il mondo. Per questo motivo, il mese di giugno è stato scelto come periodo della Giornata Mondiale dell’Orgoglio, mentre il simbolo della rivolta è diventata la donna transessuale Sylvia Rivera, che iniziò la protesta lanciando una bottiglia contro un poliziotto.
Dopo i fatti di New York, dunque, si diffuse la consuetudine di proporre una parata commemorativa anche nel resto degli Usa e in Europa. Per quanto riguarda il caso specifico dell’Italia, invece – per ragioni note – questo tipo di iniziative arrivò con un processo molto più lento. Negli anni Ottanta e Novanta, difatti, ci furono solo manifestazioni sporadiche, tra tanta vergogna, paura e imbarazzo generale. Per approdare a una vera chiave di volta si ebbe bisogno di aspettare il 2000 con il World Pride di Roma, che, peraltro, cadde proprio in coincidenza del Giubileo.
Il Pride nasce come un grido di libertà oltre qualsiasi barriera sollevata in nome del pudore, di ciò che deve essere o non essere giusto per la morale più retriva. È una festa alla quale chiunque partecipa indossando la pelle che desidera e che sente sua, dopo anni, secoli, in cui le persone transessuali sono state stigmatizzate proprio sul loro corpo. In piazza ognuno ama chi vuole e bacia chi vuole, è il trionfo dell’amore in tutte le sue infinite sfumature.
La manifestazione è una risposta ilare al moralismo ipocrita, è uno sberleffo, una pernacchia al bigottismo. Essa, quindi, è ancora necessaria, soprattutto in un Paese come il nostro che è cresciuto a pane e oscenità sessiste con la televisione di Berlusconi, ma che si scandalizza per due uomini o due donne che si baciano pubblicamente. Dicono di voler difendere i bambini, loro, ma poi si dimenticano di tutelarli dalle violenze e dall’odio che ci viene propinato quotidianamente. Celebrare l’orgoglio gay, inoltre, è fondamentale perché viviamo in uno Stato che è ancora all’inizio nel processo di riconoscimento dei diritti civili e che è ancora lontano dall’affrontare in maniera scevra da pregiudizi la questione dell’omogenitorialità.
Su una lapide di un veterano omosessuale del Vietnam vi è scritto: Quando ero nelle forze armate mi diedero una medaglia per aver ucciso due uomini e un congedo per averne amato uno. Leggendo queste parole viene in mente quello che diceva anche John Lennon: viviamo in una società dove ci nascondiamo per fare l’amore, mentre violenza e odio si diffondono alla luce del sole. È questo il grande paradosso, la grande ipocrisia che il Pride vuole sotterrare con una risata esibendosi davanti a tutti.
E allora decidete voi da che parte stare. Scegliete se il vostro colore preferito da indossare è il nero o l’arcobaleno. Forse è il caso che alla prossima parata scendiamo tutti insieme in piazza, a prescindere dai nostri gusti sessuali.
*Foto di copertina di Marco Tancredi Photographer©