I social, si sa, rappresentano un’enorme rivoluzione per quanto attiene al mondo della comunicazione. Piattaforme come Facebook, Twitter o Instagram sono entrate nella vita di ognuno di noi, cambiando radicalmente il nostro modo di interagire con gli altri ma, al tempo stesso, non mancando di palesare problematiche, alcune persino particolarmente spinose.
Tra cyberbullismo, violazioni della privacy, dipendenze, esasperazioni delle solitudini e mode deleterie, ciò che di sicuro sta contribuendo in maniera più marcata a infestare e a minare la stabilità della nostra società è il fenomeno delle cosiddette bufale. Purtroppo, come è evidente, non ci stiamo riferendo a degli esemplari bovini di sesso femminile o alle prelibatezze della nostra produzione casearia ma, piuttosto, a quelle operazioni di distorsione della verità – o, più direttamente, menzogne – che quotidianamente dilagano sul web.
In realtà, quando non vi sono ragioni esclusivamente di ordine economico o commerciale – con i cosiddetti link acchiappa-click–, dietro a questo meccanismo perverso, si cela quella volontà di veicolare, nelle convinzioni delle persone comuni, teorie cospirazioniste e complottismi di varia natura, i quali – e la storia insegna – a loro volta sono funzionali a una certa logica di imposizione del potere ai danni di una sana convivenza democratica.
Su queste criticità legate ai social e sulle conseguenze nefaste dei complottismi – nell’analizzare i quali ha profuso un grandissimo impegno intellettuale – del resto, proprio poco prima di lasciarci, ci aveva messo in guardia anche il grande semiologo Umberto Eco, le cui parole di monito andrebbero prese come oro colato.
Quella delle fake news, invero, non è una novità o un’invenzione della modernità, ma una modalità di manipolazione dei pensieri che esiste da sempre e che da sempre, sia pure con diverse strategie di propagazione, serve a chi desidera subdolamente insinuarsi al comando di un consesso di persone o mira a delle determinate finalità politiche. Volendo affrontare questa disamina, è impossibile non far riferimento a quelli che sono i Protocolli dei Savi di Sion – ma tanti altri potrebbero essere gli esempi desumibili nel corso del tempo – i quali possono essere definiti, a tutti gli effetti, la prima opera moderna di letteratura cospirazionista.
Detti Protocolli, sono, per l’appunto, un falso documentale, creato con l’intento di diffondere il disprezzo contro gli ebrei e ancora oggi, in certi ambienti antisemiti, trovano seguito. Essi furono pubblicati nei primi anni del XX secolo nella Russia imperiale in forma di documento segreto attribuito a una fantomatica cospirazione ebraica e massonica per la conquista del mondo. La natura di falso fu appurata fin dai primissimi tempi dalla pubblicazione ma questo non servì ad arrestare la loro presa. L’opera fu diffusa, infatti, dagli oppositori del movimento rivoluzionario russo – quindi fascisti e personaggi di estrema destra – volendo far passare l’idea che il bolscevismo fosse una cospirazione ebraica per il dominio mondiale. Diventò, quindi, anche uno degli strumenti più utilizzati per giustificare le persecuzioni del secolo scorso.
A ben guardare, dunque, ieri come oggi, il tutto rientra in quella concezione del dividi et impera, risalente fin dai tempi di Filippo il Macedone, in base alla quale a chi desidera comandare serve creare il nemico da dare in pasto al popolo, il capro espiatorio per giustificare azioni e misfatti. Per gli stessi occorre, poi, fomentare un clima di incertezza, paura e astio generale in modo che le persone cerchino chi le guidi, qualcuno al quale potersi affidare ciecamente e che dispensi certezze e soluzioni facili.
I parallelismi con lo scenario attuale, pur con i dovuti distinguo, sono alquanto prospettabili. Ciò che più amareggia però è che, oltre alle notizie inventate ai danni dei migranti – sulla cui pelle si cerca di ottenere tornaconto elettorale – il fenomeno oggi stia investendo anche il principio di autorità tout court. Chi sta dietro a certi blog ha il chiaro interesse a creare un solco tra un noi – rappresentante il popolo medio – e un loro – comprensivo di tutte le autorità e le istituzioni tradizionali – mirante a screditare, a priori, queste ultime. La finalità, ovviamente, è quella di proporre delle verità alternative sulle quali costruire consenso. Con quanto stiamo qui sostenendo, si badi, non si vuole in alcun modo avanzare perplessità sull’esercizio della critica e del dissenso, che anzi dovrebbero essere salvaguardati, ma soprattutto fondati e ragionevoli perché la loro degenerazione più che un’espressione di libertà rappresenta un ostacolo alla democrazia e un prodromo a involuzioni dittatoriali. Ciò che è più grave, però, è che da questa china non sia escluso neppure il campo medico e scientifico.
Non è un caso, infatti, il dilagare dell’antivaccinismo e di tutte le teorie che dubitano della validità della medicina tradizionale, che, a quanto pare, sarebbe al soldo delle lobby farmaceutiche. Le conseguenze di ciò sono sotto agli occhi di tutti, come il caso recente del bambino morto di otite nel 2017 – con tutto ciò che implica questa data in termini di progresso – per via dello scetticismo dei genitori nell’affidarsi alla sfera sanitaria ufficiale.
Di sicuro, il fatto che da questa ventata sia investita anche la sanità ci porta ad assistere ad apici di assurdità e fallacie logico-argomentative imbarazzanti. La scienza, difatti, non è un’opinione. Essa si fonda su metodi, prove e dati inconfutabili, dunque chi la attacca ha – o quantomeno dovrebbe avere – la stessa credibilità di un predicatore gobbo di un villaggio sperduto su qualche altura desolata dello scorso millennio. Stiamo precipitando, a tutti gli effetti, in una deriva antiscientifica che ci sta infilando in una macchina del tempo spedita verso il Medioevo più oscurantista. Viviamo in una sorta di allucinazione collettiva costruita ad hoc, con la quale vogliono farci credere che tutti – e soprattutto chi risiede in posti dirigenziali di qualsiasi natura – ci mentano su tutto: i medici sui vaccini e sulla chemioterapia, i geologi sui terremoti, i metereologi sulle scie chimiche e i giornalisti che, come dire, sono semplicemente la voce del “male”, l’incarnazione del demonio.
Fatte queste considerazioni, volendo andare all’etimologia della parola bufala nel significato di cui sopra, pare che essa, nella versione più accreditata, sia da riportare, secondo il Vocabolario della Crusca, all’espressione menare per il naso come una bufala, ovvero portare a spasso l’interlocutore trascinandolo come si fa con i buoi e i bufali per l’anello attaccato al naso. Ergo, in conclusione, se non vogliamo essere trattati alla stregua di animali, soprattutto da soma – con tutto il rispetto per i somari che sono intelligentissimi –, se non vogliamo farci gabbare e se vogliamo svincolarci dal giogo, allora forse è il caso che iniziamo a riflettere se il modo con il quale attingiamo informazioni sia corretto. E, soprattutto, probabilmente è giunto il momento di domandarci, cercando di darci una risposta: a chi giovano le bufale?