Ci sono storie che iniziano lente, con un ritmo dondolante al quale il lettore si accorda subito, come Il postino dei messaggi in bottiglia, nata dalla penna di Michelle Cuevas e illustrata da Erin Stead, uscita in Italia per i tipi di Babalibri.
Vi sono storie che iniziano lente, probabilmente perché la vita stessa sa essere lenta, lievissima nel suo incedere, ma proprio nella vita, come nelle storie costruite bene, il cullare delle cose finisce con l’interrompersi: succede qualcosa.
Già dalla seconda pagina, lì dove il colophon si è appoggiato piano, la seconda illustrazione di Erin Stead suggerisce proprio questo. In una stanza che è un non luogo – due grandi finestre nella parete invisibile – un uomo seduto al tavolo della colazione con una tazza tra le mani e un gatto bianco e arancione. Entrambi guardano verso lo stesso oggetto per terra, un gomitolo che sembra aver appena interrotto il suo srotolarsi, ed entrambi hanno un’aria interrogativa.
Come ha iniziato a muoversi? Cosa è successo? Dove ci porteràseguire il filo?
Inizia la storia.
È subito tutto specificato: il nostro protagonista è un postino che a ha che fare con l’acqua – la doppia salopette verde e il maglione di lana grezza lo avevano già suggerito – e vive da solo. L’illustrazione, creata come le altre con matita, pastelli a olio e tavoletta di legno incisa, è chiarissima. La piccola casa, tratteggiata con dovizia di particolari, si staglia lontana da tutto, intorno ha solo terra e mare, vivissimi, plastici, quasi litigiosi. In lontananza un faro e forse un piccolo villaggio. Sulla scena un solo albero, come il resto, tutto di carta e matita, ma reso vivo dalle foglie esplose con delicatezza, poi un gatto sul tetto, una mucca e il postino, fermo, con gli occhi fissi sulle onde in attesa di un luccichio di vetro.
Certo. Perché il compito del postino – nel titolo originale, The Uncorker of Ocean Bottles, ancora più dichiarato – è fondamentale: aprire ogni bottiglia arrivata via mare e consegnarla al legittimo destinatario. Consegnare messaggi.Ognuno di noi ha presente, anche solo per sentito dire, ma comunque trasversalmente ereditato da generazioni precedenti alla nostra, il tempo lento dei messaggi spediti per posta, il tempo della carta dischiusa dalla busta e dell’attesa premiata, ed è questo il tempo del racconto della Cuevas, restituitoci con delicate fiamme di poesia dalla traduzione di Cristina Brambilla.
Questo il tempo e questo il lavoro. Siamo lì anche noi, accanto al postino che si muove sulla strada con un compito ben preciso e amato, ogni giorno, tutti i giorni. A cambiare è solo il modo diverso che hanno le stagioni di sedersi sugli alberi e, ovviamente, i messaggi, a volte secchi, disseccati come foglie autunnali, altre… scritti con una penna intinta nella tristezza, ma sempre ben accetti. Un messaggio può ospitare un tesoro.
Il rientrare in una quotidianità come questa è semplice, è una quotidianità che può facilmente capitare di sentire addosso, sa di casa e della terra sempre uguale sotto i piedi. Il postino fa il postino.
Eppure ogni tanto, tra un passo e l’altro le domande si affacciano piano al cuore, non può fare a meno di domandarsi quando anche lui avrebbe ricevuto un messaggio.
Il flusso esterno si interrompe, i colori della Stead cambiano. In realtà il postino sa che sarebbe facile come trovare sulla spiaggia un frammento dell’unghia del piede di una sirena. Non è proprio previsto, non nel suo personaggio: lui puzza di sogni da marinaio e non ha nome, nessuno gli potrebbe mai scrivere. Però – e questo noi lo sappiamo, il singulto dello sguardo di nuovo alle finestre sul nulla o sul mare è anche il nostro – però gli sarebbe piaciuto. Il colore è cambiato, tutto mare, a pagina intera. E nel mare le cose si fanno fluide. Contenitore del possibile il mare porta una bottiglia che dentro ha un messaggio particolare, è l’unico riquadro bianco della pagina.
Questo invito potrebbe non arrivare in tempo, ma sto organizzando una festa. Domani, marea della sera, in riva al mare. Per piacere, verrai?
Non c’è destinatario, non c’è indirizzo, nessun mittente. Il gomitolo è rotolato via, e continua seguendo una divisione che nelle illustrazioni resterà quasi fino alla fine. Il postino è curioso, ansioso di mettersi al lavoro. Deve trovare il destinatario. La ricerca inizia subito, le ruote della bici lo portano dal pasticcere e da lì in una linea dritta, quella del pontile, proseguirà in un interrogatorio attento di una piccola comunità variegata, dalla proprietaria del negozio di caramelle alla bambina vestita di verde, dalla marinaia all’uomo che suonava così tanti strumenti da formare una banda tutto da solo. Nessuno di loro è il destinatario o il mittente e il pontile è finito. E adesso?
Il mare, che sembra quasi ridere mantenendo la direzione della storia, lascia il posto al ritorno a casa. Regala i suoi colori alla notte scurendoli. Il postino è triste, mai una volta aveva mancato il compito. Non può che prendere una decisione: andrà alla festa. Scoprirà chi è il mittente e si scuserà con lui, magari portando in regalo una manciata delle sue conchiglie preferite, alla festa senza invito e a mani vuote sarebbe davvero troppo. La curiosità dolce per l’evento convive in maniera simbiotica con il dispiacere di aver fallito il compito. Il postino non ha saputo fare il postino, non gli resta che fare ammenda e rientrare nel personaggio. O no?
Chiunque vorrà scoprire cosa succede non potrà che concedersi di sfogliare le pagine preziose di questo capolavoro, di seguirne il tempo e lo sguardo per ritrovarsi capovolto, non potrà che trattenere il respiro e interrogare le pagine successive in un dialogo che deve essere del lettore soltanto, e non può avere mediatori.
Se è vero che, a questo punto, è doveroso svestire i panni dell’intermediario e allontanarsi in punta di piedi, chi scrive non può che augurarsi, però, che ogni lettura condivida lo stesso respiro interrotto.
Quale colore prevarrà? Il mare sembra lontano, la polvere rossa del pastello a olio ricoprirà tutto?
Senza che nessun tipo di preoccupazione affligga chi vuole accettare questo che vuole essere un consiglio di lettura o ancor di più una prescrizione di incantamento, una cosa deve essere ben presente. Un ruolo addosso può stare più o meno stretto, nel bianco delle pagine sembrerà di emergere sempre per gli stessi colori o per gli stessi ruoli, lo sguardo potrà spingersi lontano con maggiore o minore ansia di scoprire uno scoglio davanti o un gomitolo che è riuscito a rotolare via ma la realtà, prima o poi, si farà sentire.
Tutto ciò che è cerebrale, il monologo fondamentale dell’anima con il mondo esterno ci fa vivi, ma non è tutto: noi siamo del mondo. Siamo della storia. E la storia può farci inciampare, anche solo al semplice scopo di farci apprezzare, per un istante, il sapore dolce delle cose reali. Potrà destabilizzare, forse no, ma il racconto continuerà, più o meno lontano dai colori forti. E in bocca rimarrà un ricordo verissimo. Forse di zucchero e pan di spagna.