La musica e la letteratura sono due espressioni diverse di quel meraviglioso e complesso mondo che è l’arte. Ognuna con le proprie caratteristiche e peculiarità che ne fanno discipline perfettamente indipendenti, hanno spesso, nel corso della storia, trovato innumerevoli punti di contatto l’una con l’altra, influenzandosi, scambiandosi gli interpreti, aiutando, quindi, a evolversi reciprocamente in nuove dimensioni.
Sono tanti i musicisti che, a un certo punto della propria carriera, hanno sentito la necessità di sostituire al pentagramma le classiche righe sulle quali, da bambini, si sviluppavano i temi per la scuola. Viceversa, numerosi scrittori hanno attinto dal mondo delle note per dare vita ai capolavori che li hanno resi, poi, celebri nelle librerie, alcuni di questi non mancando di imbracciare uno strumento per carpirne le sensazioni che era in grado di trasmettere e generare.
Da questo straordinario miscelarsi, si sono lasciati rapire anche due compositori napoletani, Pino Ciccarelli e Fabrizio Fedele, autori, per la Marotta&Cafiero, dei rispettivi romanzi Magari in un’altra vita e Sangue randagio.
Artisti a tutto tondo, Ciccarelli e Fedele hanno unito il proprio lavoro, la musica, alle parole attraverso le quali hanno confezionato questi piccoli gioielli su carta che, insieme, stanno portando in giro per la Campania e l’Italia, in un tour condiviso ricco di soddisfazioni. Li abbiamo raggiunti nella tappa di Ercolano, presso Le Scuderie di Villa Favorita, e abbiamo posto loro alcune domande, non prima, però, di aver ascoltato la bella introduzione dell’editore di Scampia, Rosario Esposito La Rossa: “La musica è argomento centrale della narrazione di Pino Ciccarelli, anche se fa da sfondo a una vicenda molto travagliata. Il suo è un vero e proprio film su carta, un libro molto emotivo, alla cui lettura è facile emozionarsi ed entrare in sintonia con i personaggi. Il titolo, Magari in un’altra vita, è un piccolo capolavoro e le canzoni che accompagnano i diversi capitoli, a mio avviso, sono giustissime. Il romanzo di Fabrizio Fedele, invece, ha la potente capacità di far porre al lettore molte domande. Più volte, rileggendolo, mi trovavo a interrogarmi su cosa avrei fatto al posto di Nick, il protagonista. Fabrizio, inoltre, è dotato di una capacità straordinaria di raccontare una città che non esiste più, di raccontarne il cambiamento. Sangue randagio è un volume molto interiore, impreziosito dalle tavole di Rosaria Iorio, che ne ha curato la veste grafica.”
Cominciamo con Pino Ciccarelli. Diverse recensioni parlano del tuo libro come di un’autobiografia. È così?
«Ognuno ha dato una propria interpretazione a questa storia, Rosario (l’editore, n.d.r.) lo definisce un romanzo di formazione. Quello che ho cercato di fare è raccontare la vita di un sassofonista adolescente ambientata negli anni Settanta, quando la musica ha subito dei forti cambiamenti e ha, quindi, influenzato quella degli anni a venire. A quei tempi, far parte di una band era un simbolo distintivo. La vicenda si sviluppa nel tempo e agli amori innocenti si sostituisce quella che è stata la piaga dell’epoca, la droga, con tutte le conseguenze che essa ha comportato sulla vita delle persone, fino al colpo di scena finale.
Scrivere è stato un esercizio di psicanalisi, mi sono ritrovato a stilare diversi capitoli con le lacrime che mi rigavano il viso e ancora oggi capita di commuovermi. Sono molto nostalgico, ma su questo aspetto sto lavorando.»
Il tuo romanzo è andato molto bene, siete alla terza edizione.
«Sì, e probabilmente se ne stamperà anche una quarta, un successo che non avrei mai potuto immaginare. Credo che molto del merito sia attribuibile al disco allegato al libro che racchiude tutte le canzoni, dieci tracce da me arrangiate, che hanno segnato quel momento importante della mia vita e attraverso le quali cerco di accompagnare il lettore. È una sorta di macchina del tempo musicale che riporta indietro negli anni Settanta, con i brani che ne erano protagonisti, alcuni tratti da film cult.»
Fabrizio Fedele, il tuo romanzo viaggia in direzione opposta a quella di tanti giovani che da Napoli volano via a Londra. Racconti, infatti, di un tragitto al contrario. Ce ne parli?
«La storia è quella di una famiglia normale, mamma, papà e due fratelli. A seguito di una disgrazia, il protagonista della storia comincia a sentire stretta la città di Napoli e si trasferisce a Londra. Rientra, però, per lo stesso motivo per cui era andato via, la perdita di una parte importante della sua famiglia, riscoprendo tutti quei sensi che credeva perduti ma che, in realtà, erano soltanto sopiti, erano lì che dovevano essere rispolverati. Odori, sapori, immagini, il personaggio avverte di aver bisogno di fare di nuovo suo tutto questo. Quando lasci un posto a diciassette anni e ci ritorni a trenta non è mai la stessa cosa, hai bisogno di ritrovarti. Nick è un musicista, una specie di eroe a causa di una leggenda che vuole che abbia lavorato a un disco dei Pink Floyd. È un libro d’amore.»
Quanto c’è di te tra queste pagine?
«Non conosco nessuno che scrive che riesce a non essere autobiografico. Da adolescente ho letto tantissimo Stephen King, ero un suo grande fan. L’autore americano raccontava che gli incubi che lo avevano afflitto da bambino erano diventati, poi, le ambientazioni dei suoi libri. Per essere un bravo scrittore bisogna conoscere quello di cui si scrive, altrimenti c’è il rischio di non risultare reale ma lezioso.»
Due progetti, quelli dei musicisti partenopei, che confermano l’impegno della casa editrice Marotta&Cafiero a favore della promozione culturale, del riscatto di una città spesso in affanno nel tentativo di affermarsi come capitale culturale di un Sud Italia calpestato ma in costante rilancio. Due romanzi, Magari in un’altra vita e Sangue randagio da leggere e ascoltare per tuffarsi nella musica che ha segnato le generazioni di una Napoli da riscoprire.