«Una delle cose più straordinarie in UK è che, due generazioni dopo che i miei nonni erano venuti qui con poco, io sono diventato Primo Ministro e ho potuto guardare le mie due giovani figlie accendere le candele di Diwali sui gradini di Downing Street. Dobbiamo rimanere fedeli a quell’idea di chi siamo, a quell’idea di gentilezza, decenza e tolleranza che è sempre stata la via britannica».
È così che funzionano le destre, i nazionalismi dei tempi d’oggi, i neofascismi vestiti di stelle e di strisce: prendono i privilegi, li tengono per sé, ne sfruttano il potenziale e li negano, poi, a chi viene dopo, ai deboli, a chi più ne ha bisogno, vendendo questa miserabile prospettiva come una qualche difesa da non si sa bene cosa o chi. Le parole sopra riportate sono parte del discorso d’addio alla carica di Primo Ministro del Regno Unito di Rishi Sunak, Capo del Governo uscente, artefice di una delle peggiori sconfitte di sempre subite dal partito conservatore britannico a favore dei Laburisti, in poche parole della sinistra.
Lo dice egli stesso: figlio di genitori indù emigrati dall’Africa Orientale, Rishi Sunak ha avuto l’occasione di realizzare i sogni di qualsiasi ragazzo approdi sul suolo di Sua Maestà… anzi approdava. Poi, una volta ottenuto tutto quanto un Paese democratico, civile, libero aveva da offrire, ha combattuto perché quel Paese non garantisse quegli stessi diritti a tanti, tantissimi altri, cavalcando il carro della Brexit, la battaglia principe del partito conservatore di cui non si sa per quale motivo fa parte.
Anzi sì, perché Sunak, proprio come gli immigrati che ancora sono ben accetti in Inghilterra, non è figlio di strenue speranze ma di ricche risorse, quelle che gli hanno consentito di frequentare i migliori college del Regno sin da giovanissimo, poi di lavorare per una delle banche più grandi del mondo. Sunak è un privilegiato che ha continuato a privilegiare i privilegiati. Perché anche migrare in cerca di un futuro migliore dipende da dove parti.
Dopo un lunghissimo mandato che ha visto alternarsi al potere personaggi come David Cameron, Theresa May, Boris Johnson, Liz Truss e, appunto, Rishi Sunak però, il partito conservatore si è visto costretto a passare la mano a un nuovo vento, a una ritrovata speranza offerta dal partito laburista, oggi guidato da Keir Starmer, che promette lavoro, il rinnovamento del sistema sanitario nazionale e nuove politiche ambientali, non proprio le parole più gettonate in UK negli ultimi quindici anni. E forse è proprio questo il punto: quando si ha il coraggio di cambiare, anziché travestirsi semplicemente da meno peggio, l’elettorato offre un segnale.
Ne sa qualcosa la Francia, chiamata al voto dopo la debacle del Presidente Macron alle ultime Europee a vantaggio dei nazionalisti guidati da Marine Le Pen, dove il popolo, messo in allarme dai numeri raggiunti dal Rassemblement National, si è riversato alle urne per dare mandato a Jean-Luc Mélenchon di ispirare il cambiamento.
Grandi feste tra le strade della capitale, eppure questo articolo ancora titola di diffidenza. Perché? Lasciamo un attimo da parte i cugini d’Oltralpe per tornare a Londra. Il risultato dei Labour, salutato con gioia da gran parte dei gruppi democratici del Vecchio Continente – proprio come quello delle elezioni europee e del recente turno elettorale francese – è stato fortemente condizionato dai conflitti che insistono in Europa (Ucraina) e in Medio Oriente (Palestina).
Non saranno molti i giornali a raccontarvi di questo dato, ma in ben cinque circoscrizioni i Laburisti hanno perso contro candidati indipendenti pro-Palestina, e in tanti altri hanno ceduto pacchetti di voti importanti proprio a vantaggio di chi chiede un passo indietro rispetto all’appoggio incondizionato a Israele. Riguardo alla guerra nella Striscia, Starmer, di recente, ha sostenuto il diritto da parte di Netanyahu di bloccare le forniture di acqua ed elettricità a Gaza. Il suo partito e quello conservatore hanno, in politica estera, idee molto simili.
Corsi e ricorsi storici, furono proprio una guerra insensata e la politica estera a ribaltare le sorti di una delle più grandi speranze dei Laburisti. Se il nome Tony Blair non vi dice nulla, o siete troppo giovani oppure è il caso di tenersi alla larga da Google, ammesso che non siate disposti a mettere in dubbio questo improvviso, ritrovato ottimismo.
Torniamo a Parigi, però, presto sede dei Giochi Olimpici, per il momento teatro di un mega-impasto guidato da Emmanuel Macron che mira a escludere proprio Mélenchon dal governo che andrà a formarsi. Le intemperanze del leader socialista sono scomode a tutto quanto il Presidente francese ha professato sino a oggi in termini di politica sia interna che estera.
Per quel che riguarda il tema lavoro, Macron è la più nitida rappresentazione del liberismo, dell’uomo giudicato soltanto su quanto è grado di produrre. Mélenchon, al contrario, ha conquistato le piazze chiedendo un modo di vivere più gentile, più attento ai bisogni delle persone che dei loro prodotti, ha parlato di tempo libero, di lavorare meno. Facile intendere perché il Presidente stia tentando di costituire una maggioranza che tenga fuori dai giochi il collega nativo di Tangeri.
Stessa storia per quel che riguarda le posizioni su Ucraina e Israele, con il fondatore de La France Insoumise assolutamente convinto di non voler allargare il conflitto con il coinvolgimento dei militari francesi e a riconoscere il diritto a esistere e resistere della Palestina, l’esatto opposto di quanto ispirato da Macron sin dall’alba dell’invasione russa sul suolo di Kiev e a sostegno del genocidio di Israele ai danni di Gaza.
Ma come la prenderà una popolazione tornata in massa a votare proprio per soffiare in direzione del vento del cambiamento quando si vedrà illusa e sconfitta dai soliti giochi di palazzo che mirano a salvaguardare esclusivamente lo stato di cose vigenti? Basterà aver allontanato lo spauracchio fascismo ad accontentarla? Forse, ma una ennesima delusione potrebbe costare cara a tutto il continente ed essere presto irreversibile. Lo scacchiere del mondo non sembra intenzionato a lasciare spazio a nuove pedine.
La speranza è che quelle folle meravigliose, che abbiamo salutato con gioia e un pizzico di invidia anche qui in Italia, non smettano poi di chiedere conto, di lottare per il domani che hanno chiesto a gran voce.