«No all’autonomia: porta alla secessione».
«Non credo nelle piccole patrie e sono convinta che la patria, quella vera, sia l’unico argine rimasto alla deriva mondialista e alla globalizzazione incontrollata».
A parlare è una Giorgia Meloni di dieci anni più giovane, quella di Dio, patria e famiglia, leader di Fratelli d’Italia; la stessa di «Noi vogliamo uscire dall’euro» e «C’è un’altra battaglia che ci vogliamo intestare, che è la battaglia per l’abolizione delle regioni». Sempre lei, dalle mille contraddizioni, la smemorata della Garbatella.
Sono Giorgia, sono una donna, sono una madre, sono cristiana e sarò ancora più forte, dopo aver indebolito Parlamento e Capo dello Stato con il premierato e dopo aver svenduto la patria per quattro denari regalando la secessione a un Matteo Salvini ripudiato dal fondatore della Lega – l’assenteista per eccellenza Umberto Bossi assieme all’altro leghista Angelucci – e dagli elettori, ma salvato proprio da Meloni. Una vittoria politica servita sul piatto d’argento, in nome di un patto scellerato che il Paese pagherà caro: secessione a te, premierato a me.
Non c’è che dire: detto, fatto. Certamente non una sorpresa, ma un punto fermo per la coalizione di centrodestra sostenuta e votata dai 43 parlamentari del Sud, tra i quali undici campani di cui vale la pena ricordare i nomi: Marta Schifone, Marco Cerreto, Gianfranco Rotondi, Michele Schiano Di Visconti, Carmen Giorgianni, Imma Vietri (FdI); Tullio Ferrante e Francesco Rubano (Forza Italia); Attilio Piero e Giampiero Zinzi (Lega) e Pino Bicchielli (Noi moderati).
Ruolo ambiguo, quello di Forza Italia, con un Tajani dubbio e accondiscendente nei confronti degli alleati ma con un forte dissenso interno che ha portato alla spaccatura al momento dell’approvazione con circa la metà dei 45 parlamentari assenti. Comprensibile il disagio del Ministro degli Esteri nel dover gestire la pesante eredità del partito fondato da Marcello Dell’Utri, condannato in via definitiva a sette anni per concorso esterno in associazione mafiosa e imputato nel processo sulla trattativa Stato-mafia.
Eredità, quella di Silvio Berlusconi, unico vero responsabile dello sdoganamento di una forza politica dai connotati anti-meridionalisti, nata con l’unico obiettivo della secessione, quello spacca-Italia che porta il nome di Roberto Calderoli e la firma della smemorata della Garbatella. Di quest’ultima abbiamo fin troppo chiare le idee su cosa intendesse riguardo alla patria oggetto di scambio: un pensiero che porta a uno dei punti tanto cari a Licio Gelli, il controllo dei territori da parte di organizzazioni e centri di interesse capaci di condizionare la politica. Lo spacca-Italia sarà la buona occasione.
L’allarme della Commissione UE e l’apparente unità delle opposizioni potrebbero portare con molta probabilità a un referendum abrogativo che richiederà la raccolta di almeno mezzo milione di firme o, anche, l’iniziativa di almeno cinque Consigli Regionali. Referendum che in caso positivo comporterebbe un vero e proprio terremoto nella maggioranza che dovrà trarne le conseguenze e che già alle recenti Europee ha dovuto fare i conti con la significativa emorragia di consensi rispetto alle Politiche dove non solo la Lega ha perso 391mila voti, ma anche Fratelli d’Italia ha ceduto ben 702mila preferenze e Forza Italia 60mila.
Ironia della sorte, l’eventuale iniziativa referendaria da parte delle regioni di centrosinistra – Campania, Puglia, Sardegna, Toscana ed Emilia-Romagna – è in bilico proprio a causa dell’elezione al Parlamento Europeo di Stefano Bonaccini, che nei prossimi giorni dovrà rassegnare le dimissioni da Presidente emiliano-romagnolo. Bonaccini è tra i tre firmatari che chiesero l’autonomia differenziata per poi prendere le distanze dal testo Calderoli, ritenuto irricevibile in occasione della sua nomina a segretario del Partito Democratico. Irricevibile il testo o metamorfosi per causa maggiore? La conversione, in occasione della conquista della segreteria PD, travolse anche l’allora Vicepresidente della Regione Emilia-Romagna Elly Schlein.
Tra autonomia differenziata, premierato e risorse da reperire all’infinito per alimentare la guerra in Ucraina, la Presidente del Consiglio, evidentemente oberata di lavoro e impegni istituzionali, non riesce a trovare il tempo per arginare le dichiarazioni sempre più incomprensibili e inopportune del cognato Ministro e ordinare al titolare del Dicastero della Cultura un corso accelerato di storia da frequentare nella regione dove il sistema scolastico funzioni meglio grazie proprio all’autonomia differenziata, a evitare ulteriori uscite che mortificano ancora di più il nostro Paese già gravemente afflitto da ignoranza abissale.