È il lontano ma neanche troppo 2016 e la terza stagione della serie tv BoJack Horseman manda in onda il suo sesto episodio, Brrap Brrap Pew Pew, che ha come tema centrale l’aborto. In una delle varie scene oltremodo satiriche, il conduttore della trasmissione televisiva MSNBSea si interroga se il concetto della libertà di scelta per le donne non sia andato un po’ troppo oltre e, voltandosi verso gli ospiti in studio, pronuncia: «Abbiamo un gruppo di uomini bianchi con il papillon per parlare dell’aborto». Ecco, questo episodio è da poco realtà, grazie a Bruno Vespa e alla sua celebre Porta a Porta.
Non più i Simpson, da anni considerati profetici per aver anticipato alcuni degli eventi più salienti della storia contemporanea, come ad esempio la campagna presidenziale di Donald Trump; adesso è BoJack Horseman ad aver predetto il futuro. Un futuro, purtroppo, tutt’altro che roseo. La nota serie animata statunitense, creatura di Raphael Bob-Waksberg attualmente su Netflix, impazza su internet e sui social per ovvi motivi, poiché ha anticipato una tristissima e amara parentesi della tv italiana. Della RAI, per la precisione, la stessa tv che, sotto un governo giorno dopo giorno più reazionario, proibisce il contraddittorio nelle sue trasmissioni e cancella il monologo sul 25 aprile di Antonio Scurati.
Siamo quindi in seconda serata a Porta a Porta, storico talk show di RAI 1 condotto da Bruno Vespa. È durante il corso della puntata di giovedì 18 aprile che il conduttore affronta la difficile tematica dell’interruzione volontaria di gravidanza, raggruppando in studio sette uomini tutti ben distinti e incravattati. Uomini che discutono del disegno di legge sul PNNR, il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza, presentato da Fratelli d’Italia, che mira a legittimare a livello nazionale l’ingresso delle associazioni antiabortiste nei consultori. Uomini che asseriscono su quanto l’aborto sia sempre una sofferenza. Quanta empatia.
Le polemiche sono state e continuano a essere così accese che si è reso necessario l’intervento dell’USIGRAI, il sindacato dei giornalisti dell’emittente: Non deve più accadere che in un grande network come la RAI, che guida le campagne No women no panel e 50:50 in Italia, si vìolino così palesemente le policy che la stessa Azienda ha approvato. Mancando di rispetto alle donne che vivono in Italia. Abbiamo chiesto all’Azienda di prendere tutti i provvedimenti del caso, perché non avvenga mai più. Anche Marinella Soldi, presidente RAI, ha richiamato Vespa riguardo al ruolo fondamentale del servizio pubblico, soprattutto in riferimento a un argomento così sensibile.
Il conduttore ha prontamente replicato: «Non può essere insensibile alle presenze femminili chi, da direttore del Tg1, affidò a tre donne la conduzione delle 13:30». In seguito, a parte questa grandissima dimostrazione di umanità, ha continuato spiegando che «la reputazione di Porta a Porta nasce dall’ospitare politici molto rappresentativi. Ebbene ci sono soltanto 5 donne (PD e M5S) su 18 presidenti, vicepresidenti e presidenti dei gruppi parlamentari dei primi 5 partiti. […] In ogni caso l’aborto è stato solo uno degli otto temi trattati nella trasmissione di ieri».
Insomma, un promemoria per il mansplaining (citando Treccani, l’atteggiamento paternalistico con il quale certi uomini pretendono di rappresentare e spiegare alle donne il loro stesso punto di vista e ciò che è lecito o non è lecito che le donne facciano) che non va mai fuori moda e per il tema dell’autodeterminazione femminile che ha radici salde e dure da estirpare.
E se sembra tristemente assurdo che non ci si stupisca più di tanto, in un’epoca del genere, che sette uomini parlino in tv di qualcosa che riguarda il corpo delle donne, l’assurdità più grande è quella di tutte le persone che si schierano dalla parte della trasmissione, mancando completamente il punto della discussione. Critiche quali l’aborto è una cosa che riguarda anche gli uomini oppure uomini e donne sono pari, quindi anche gli uomini possono parlare di aborto. Attuando una rapida ma evidente comprensione del testo, si può scorgere in lontananza una piccola ma significativa parolina: anche.
Nessuno impedisce agli uomini di avere una posizione al riguardo e di esternarla, ma possibile che su sette persone non venga inclusa neppure una donna? Eppure non si parla di biscotti ma di uteri che, guarda caso, possiedono solo le donne. Si parla del diritto di decidere del proprio corpo, in un paese dove sei ginecologi su dieci sono obiettori di coscienza. Si parla di corpi come terreno di giochi politici ed economici e di feti sotto i riflettori, almeno finché non diventeranno bambini. Poi ’sti ca…voli, possiamo dimenticarci di loro, delle madri e di qualsiasi loro diritto.
Mentre, dunque, TeleMeloni avanza furiosa, il mondo maschile continua ad arrogarsi il diritto di parlare del femminile e serie tv satiriche fotografano la realtà odierna, non ci resta che incrociare le dita. Disse bene Oriana Fallaci nel 1976, invitata a parlare di aborto dopo tre uomini, cosa che ci tenne a sottolineare. Disse bene che «a restare incinte siamo noi donne, che a partorire siamo noi donne, che a morire partorendo, abortendo o non abortendo, siamo noi donne. […] Tanto, se non vi piace, siamo lo stesso noi a decidere. Lo abbiamo fatto per millenni. Continueremo a farlo». Un discorso così amaramente attuale che fa paura.
Tornando al parallelismo con BoJack Horseman, non c’è forse conclusione migliore se non quella di utilizzare le parole di uno degli opinionisti: «Io sono un uomo ma se restassi incinto metterei in pausa la mia vita per un bambino che non voglio? Sì, lo farei e lo dico con sicurezza perché non prenderò mai quella decisione». Proprio così, cari uomini. MAI.