Prima venne l’editto Bulgaro, poi arrivò TeleMeloni. Si è aperto così il nostro ultimo articolo sul tema del servizio pubblico televisivo italiano, eppure una settimana dopo siamo qui di nuovo a commentare l’ennesima prova di potere che il governo guidato da Giorgia Meloni ha pensato di adoperare sulla RAI.
Da sempre, la politica prova a controllare i mass media e a influenzare l’informazione. In Italia, i maggiori gruppi editoriali e diversi canali televisivi fanno capo proprio ad aziende legate a esponenti di partito – caso quasi unico in Europa –, tuttavia è la Radiotelevisione Italiana che ha sempre fatto gola ai potenti, i canali delle trasmissioni pubbliche che entrano nelle case di tutte le famiglie da nord a sud.
Lunedì scorso raccontavamo ai nostri lettori dell’emendamento voluto dalla maggioranza di governo che – di fatto – cancella la par condicio nei programmi di approfondimento giornalistico. L’USIGRAI, il sindacato dei giornalisti delle reti di Stato, aveva prontamente condannato la cosa, ma ciò non ha impedito ai vertici dell’azienda ormai controllata dalle forze politiche di centrodestra di impiegarsi in una nuova, triste, vergognosa vicenda.
Sabato, durante la fascia serale di RAI 3, per il programma Che sarà, la conduttrice Serena Bortone legge uno scritto del Premio Strega Antonio Scurati sulla ricorrenza del 25 aprile e sull’antifascismo. Il testo ripercorre l’assassinio di Giacomo Matteotti e si spinge fino alle esperienze moderne di totalitarismo in Italia con un’accusa diretta alla Premier Giorgia Meloni, rea di non aver mai preso le distanze dal Ventennio, di aver sempre minimizzato le rivendicazioni e le azioni successe in tempi recenti e – trattandosi della festa della Liberazione – di non aver mai nominato la parola antifascismo nel corso delle ricorrenze dello scorso anno.
La cosa avrebbe del clamoroso già così confezionata e invece succede a un episodio occorso nelle ore precedenti alla messa in onda, quando la stessa Serena Bortone denuncia, tramite un post sui suoi social network, la censura della RAI nei riguardi di Scurati e del suo monologo. Da quel momento in poi, si rimbalzano accuse, smentite, reazioni.
Secondo l’azienda, il motivo che spinge i vertici a dare il benservito allo scrittore i cui libri sono tradotti in 42 Paesi nel mondo, autore di una quadrilogia su Benito Mussolini, sta nella cifra di 1800 euro da lui richiesta e ritenuta eccessiva. Poche ore dopo, sulla stessa rete, il Ministro Lollobridiga dirà che la Costituzione è, sì, antifascista ma quella stessa parola è troppo generica e ha causato diverse morti.
A Scurati risponde Paolo Corsini, direttore degli approfondimenti della RAI, che di recente si è detto militante del partito Fratelli d’Italia, e a lui fa eco proprio la Premier Meloni che pubblica il monologo dell’autore sul suo profilo Facebook, camuffando un gesto di solidarietà e democrazia in un vero e proprio attacco alla libertà di Scurati, offrendolo in pasto ai commenti del suo elettorato.
Non è la prima volta che le forze di maggioranza reagiscono al dissenso gettando ai propri seguaci la figura dei loro oppositori di matrice intellettuale: è successo a Roberto Saviano, è successo a Michela Murgia, due volti che la propaganda sovranista ha spesso adoperato per attaccare le voci discordi.
Il post del Primo Ministro Meloni pone, inoltre, l’accento sul compenso di Scurati rimarcando lo status quo per cui la cultura – in questo disgraziato Paese – non debba essere legata all’idea di compenso economico, di guadagno. Tradotto: quello intellettuale non è un vero lavoro.
L’autogol, tuttavia, è clamoroso. Il programma di Serena Bortone gode, nelle migliori serate, del 4% circa di share, motivo per cui, se qualche dirigente non si fosse posto il problema di ingraziarsi il potere attraverso il becero atto di ammutolire il dissenso, il testo di Antonio Scurati avrebbe raggiunto molte meno persone di quante, invece, ha intercettato sui social dal momento della censura. Il monologo – che vi proponiamo in versione integrale in calce – è diventato virale, rimbalzando di bacheca in bacheca nelle parole pronunciate da Serena Bortone prima, dai principali nomi della letteratura italiana poi, grazie a un’iniziativa del magazine di Nicola Lagioia, Lucy sulla cultura.
Il tutto fa seguito alle vicende di una RAI già in grande difficoltà per gli addi di Fabio Fazio – dichiarato incompatibile con il nuovo corso dell’azienda – e del presentatore dei record Amadeus, anche lui vittima di un tentativo che sa di censura in merito all’ultima edizione del Festival di Sanremo. Insomma, un quadro ben poco lusinghiero da non sottovalutare nella sua deriva totalitarista, un pericolo che i giornalisti delle reti principali hanno nuovamente sottolineato con un altro comunicato arrivato in queste ore proprio in merito al caso Scurati.
Il controllo dei vertici RAI sull’informazione del servizio pubblico si fa ogni giorno più asfissiante. Dopo aver svuotato della loro identità due canali, ora i dirigenti nominati dal governo intervengono bloccando anche ospiti non graditi, come Antonio Scurati a cui era stato affidato un monologo sul 25 aprile, in una rete, RAI 3, ormai stravolta nel palinsesto e irriconoscibile per i telespettatori.
È bene, dunque, fare molta attenzione e non sminuire più le ormai ricorrenti operazioni nostalgia che il Governo Meloni continua a mettere in atto. È in gioco la cosa più preziosa che la Costituzione antifascista ci ha consegnato e che tra tre giorni, il 25 aprile, festeggeremo nella speranza di una nuova futura azione di Liberazione e democrazia: la libertà.
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Il testo di Antonio Scurati:
Giacomo Matteotti fu assassinato da sicari fascisti il 10 di giugno del 1924. Lo attesero sotto casa in cinque, tutti squadristi venuti da Milano, professionisti della violenza assoldati dai più stretti collaboratori di Benito Mussolini. L’onorevole Matteotti, il segretario del Partito Socialista Unitario, l’ultimo che in Parlamento ancora si opponeva a viso aperto alla dittatura fascista, fu sequestrato in pieno centro di Roma, in pieno giorno, alla luce del sole. Si batté fino all’ultimo, come lottato aveva per tutta la vita. Lo pugnalarono a morte, poi ne scempiarono il cadavere. Lo piegarono su se stesso per poterlo ficcare dentro una fossa scavata malamente con una lima da fabbro. Mussolini fu immediatamente informato.
Oltre che del delitto, si macchiò dell’infamia di giurare alla vedova che avrebbe fatto tutto il possibile per riportarle il marito. Mentre giurava, il Duce del fascismo teneva i documenti insanguinati della vittima nel cassetto della sua scrivania. In questa nostra falsa primavera, però, non si commemora soltanto l’omicidio politico di Matteotti; si commemorano anche le stragi nazifasciste perpetrate dalle SS tedesche, con la complicità e la collaborazione dei fascisti italiani, nel 1944. Fosse Ardeatine, Sant’Anna di Stazzema, Marzabotto. Sono soltanto alcuni dei luoghi nei quali i demoniaci alleati di Mussolini massacrarono a sangue freddo migliaia di inermi civili italiani. Tra di essi centinaia di bambini e perfino di infanti. Molti furono addirittura arsi vivi, alcuni decapitati.
Queste due concomitanti ricorrenze luttuose – primavera del ’24, primavera del ’44 – proclamano che il fascismo è stato lungo tutta la sua esistenza storica – non soltanto alla fine o occasionalmente – un irredimibile fenomeno di sistematica violenza politica omicida e stragista. Lo riconosceranno, una buona volta, gli eredi di quella storia? Tutto, purtroppo, lascia pensare che non sarà così. Il gruppo dirigente post-fascista, vinte le elezioni nell’ottobre del 2022, aveva davanti a sé due strade: ripudiare il suo passato neo-fascista oppure cercare di riscrivere la storia. Ha indubbiamente imboccato la seconda via. Dopo aver evitato l’argomento in campagna elettorale, la Presidente del Consiglio, quando costretta ad affrontarlo dagli anniversari storici, si è pervicacemente attenuta alla linea ideologica della sua cultura neofascista di provenienza: ha preso le distanze dalle efferatezze indifendibili perpetrate dal regime (la persecuzione degli ebrei) senza mai ripudiare nel suo insieme l’esperienza fascista, ha scaricato sui soli nazisti le stragi compiute con la complicità dei fascisti repubblichini, infine ha disconosciuto il ruolo fondamentale della Resistenza nella rinascita italiana (fino al punto di non nominare mai la parola “antifascismo” in occasione del 25 aprile 2023). Mentre vi parlo, siamo di nuovo alla vigilia dell’anniversario della Liberazione dal nazifascismo. La parola che la Presidente del Consiglio si rifiutò di pronunciare palpiterà ancora sulle labbra riconoscenti di tutti i sinceri democratici, siano essi di sinistra, di centro o di destra. Finché quella parola – antifascismo – non sarà pronunciata da chi ci governa, lo spettro del fascismo continuerà a infestare la casa della democrazia italiana.
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Fotografia di Francesco Alesi, Internazionale – Licenza CC