Non possiamo pensare al concetto di ambiente separato da quello di salute. In tal senso, la pandemia stessa ci ha messo di fronte a una profonda interconnessione: se sta bene il nostro pianeta, sta bene anche l’uomo. L’inquinamento atmosferico, ad esempio, è stato definito dall’OMS il principale fattore di rischio ambientale per la salute. Nei giorni scorsi abbiamo assistito, e lo stiamo ancora facendo, alle proteste degli agricoltori verso: prezzi bassi dei prodotti agricoli e costi in aumento; iniqua distribuzione del valore lungo la filiera; vincoli e complessità della normativa europea; sindacati agricoli incapaci di rappresentare i bisogni di categoria.
Ovviamente, tali proteste sono state “canalizzate” per sabotare le politiche europee e il Green Deal. Voglio riportare le parole del presidente nazionale di Legambiente Stefano Ciafani che condivido totalmente: «È evidente che le manifestazioni di questi giorni fanno il gioco della lobby delle fossili e dei partiti contrari alla decarbonizzazione, in vista delle elezioni europee del prossimo giugno».
Stiamo assistendo, per l’ennesima volta, a una forza di un movimento nato dal basso usata e strumentalizzata contro i “nemici” sbagliati. Le iniziative dell’Unione Europea rivolte alla sostenibilità sono state bersaglio di un malcontento importante tra gli agricoltori legato, fondamentalmente, ad altre cause.
Che cosa è, in parole semplici, il Green Deal? Si tratta di una strategia di crescita presentata nel 2019 dalla Commissione Europea che mira a concretizzare uno sviluppo sostenibile attraverso azioni positive con il coinvolgimento di tutte le politiche dell’Unione verso l’obiettivo di determinare salute e garanzie alle generazioni presenti e future. Il traguardo finale viene individuato nella neutralità climatica con emissioni zero entro il 2050.
Lega e personaggi politici come Matteo Salvini hanno manifestato la propria vicinanza alle proteste degli agricoltori quasi dimenticando di non essere all’opposizione e, in quanto governo in carica, responsabili diretti dell’assenza di misure di welfare sociale per risollevare le condizioni dei piccoli agricoltori. Reputo sia stata l’ennesima occasione di esibizionismo in vista delle Europee, proprio come affermato da Stefano Ciafani.
È difatti importante precisare che una gran parte delle aziende agricole di piccole dimensioni soccombe al cospetto di una diminuzione del reddito e a un’impennata dei costi. La guerra in Ucraina, la crisi economica e gli effetti della crisi climatica sono variabili che incidono in maniera significativa nella vita quotidiana degli “attori” del mondo agricolo.
I riflettori della protesta dovrebbero essere quindi puntati sulla speculazione che avviene nella catena della produzione del cibo a discapito dei soggetti più deboli. Una speculazione dettata dalle leggi di mercato. Il Green Deal non è il nemico, anzi potrà garantire un futuro all’agricoltura: ciò che chiede l’Europa, infatti, è ciò di cui l’agricoltura ha bisogno per sopravvivere e anche noi per la tutela della nostra salute.
L’Europa, tra le varie cose, chiede: il 25% in più di superficie coltivata con metodo biologico, la riduzione del 50% dell’utilizzo degli antibiotici negli allevamenti, il raggiungimento del 10% in più di aree ad alta biodiversità, la riduzione del 50% dell’utilizzo di fitofarmaci. Gli effetti del cambiamento climatico e della perdita di biodiversità stanno già causando impatti devastanti sui raccolti e mezzi di sussistenza in tutto il mondo. Insomma, il Green Deal, alla fine, ci chiede rinunce necessarie per garantire la nostra salute e quella delle generazioni future.
Come cittadina e da operatrice sanitaria, ho a cuore la salute dell’uomo che passa attraverso quella del pianeta ed è un rapporto indissolubile. Pensiamo a problematiche letali come l’antibiotico resistenza, delle quali torneremo a parlare in maniera più approfondita. L’agricoltura intensiva alimenta un’altra “pandemia silenziosa” che si chiama resistenza antimicrobica e potrebbe causare 10 milioni di morti all’anno entro il 2050.
Pensiamo alla piaga delle malattie croniche, in aumento con l’invecchiamento demografico della popolazione, tra queste la BPCO: broncopneumopatia cronica ostruttiva. Le malattie croniche non infettive sono: il cancro, il diabete, l’infarto e l’ictus e le principali cause che generano questi eventi, spesso mortali, sono l’alimentazione scorretta e la sedentarietà (entrambe alla base dell’obesità), il fumo, l’eccesso di alcool e l’esposizione prolungata a sostanze chimiche pericolose.
Solo nel bacino padano l’agricoltura rappresenta la principale fonte di emissioni di ammoniaca, contribuendo fino al 97% del totale. Queste emissioni hanno un ruolo fondamentale nella formazione del PM10, il quale ha un impatto diretto sulla salute pubblica e sull’ambiente. Pertanto, è cruciale adottare misure efficaci per ridurre le emissioni di ammoniaca e migliorare così la qualità dell’aria che respiriamo.
«Semplificando la stima, un quarto dell’ammoniaca prodotta dall’agricoltura intensiva deriva dai fertilizzanti usati sul terreno. A diretto contatto con l’aria, l’ammoniaca si espande nell’atmosfera. Un’altra parte proviene direttamente dalle strutture dagli allevamenti intensivi attraverso liquami ed escrementi. Un quarto deriva invece dalle emissioni degli impianti di stoccaggio di questi liquami. Infine, un’altra dispersione la si ha nel momento dello spandimento a livello superficiale del letame sui campi»: ha dichiarato Guido Lanzani, responsabile della qualità dell’aria per Arpa Lombardia.
Non è, però, un problema soltanto lombardo ma che si estende a tutta Italia. Un’indagine dell’organo istituzionale di informazione della Regione Piemonte – Direzione Agricoltura ci dice che circa il 25% della popolazione piemontese ha già incontrato o incontrerà un tumore nella propria vita.
Torniamo a ribadire la necessità di dover pretendere politiche sempre più interconnesse in quanto il progresso, negli anni, spesso non ha tenuto conto dell’importanza di avere un equilibrio tra sviluppo, tutela ambientale e salute. Non possiamo più continuare a fingere di poter ignorare i segnali del nostro pianeta e politiche come quelle del Green Deal rappresentano il futuro, non la fine del mondo agricolo.
Dopotutto salvare l’agricoltura protestando contro le politiche verdi dell’Europa è come dire “salviamoci dall’ignoranza facendo chiudere tutte le scuole”.