Sono circa 59 le guerre in atto nel mondo in questo momento. Il Messico combatte dal 2006 contro i cartelli della droga, con 1367 morti. In Nigeria, dal 2009, la guerra ha ucciso 1363 persone. In Siria (1037 morti solo nel 2022), in Iraq (267), nello Yemen (5099), nella regione del Tigrai, in Etiopia (410 morti). In Birmania, 3846 vittime. L’Afghanistan è in guerra dagli anni Settanta con milioni di morti e, negli ultimi mesi, si possono contare migliaia di rifugiati e cinque milioni di bambini che muoiono di fame.
Si chiamano guerre “a bassa intensità” il conflitto tra Pakistan e India per la regione del Kashmir (595 vittime dal 2021) e quello in Sudan (1471 morti dal 2021). Conflitti in atto nella Repubblica Democratica del Congo, in Somalia, in Mozambico, in Israele e Palestina. I bilanci delle vittime sono inevitabilmente approssimativi e spesso contestati dalle parti.
L’organizzazione indipendente Armed conflict location & event data project aggiorna i dati con regolarità e dichiara che sono almeno altre dieci le crisi in corso che rischiano di precipitare quest’anno, tra cui quelle nel Sahel, in Libano, ad Haiti e in Colombia. Per non parlare della guerra in Ucraina, cominciata con l’invasione russa, e quella atroce e terribile che sta devastando la Striscia di Gaza, con il genocidio dei palestinesi a opera dell’esercito israeliano.
Aumentano i conflitti nel mondo e, dunque, cresce il numero degli sfollati: più di 114 milioni nel 2023, come denuncia il Mid-Year Trends Report dell’UNHCR. Filippo Grandi, Alto Commissario delle Nazioni Unite per i Rifugiati, sottolinea che l’attenzione ora è giustamente focalizzata sulla catastrofe umanitaria a Gaza, ma a livello globale stanno esplodendo altri scontri armati pronti a uccidere e distruggere vite umane. La comunità internazionale non riesce a risolvere le guerre in corso e a prevenire l’esplosione di altre, così i morti e gli sfollamenti, la miseria e la distruzione continueranno tragicamente ad aumentare.
Secondo il rapporto dell’UNHCR, si possono contare 110 milioni di persone costrette a sfollare, 1,6 milioni in più rispetto alla fine del 2022. Negli ultimi mesi il numero degli sfollati forzati è cresciuto di 4 milioni, portando, come si accennava, il totale a 114 milioni. Le guerre uccidono intere popolazioni di civili, donne e bambini, spesso non aderenti alle logiche aggressive dei governi che scelgono la risposta bellica come unico strumento per far valere le proprie ragioni. Rimangono poi estreme e irrisolvibili le condizioni di vita delle famiglie che fuggono dalle città e dalle zone bombardate per trovare rifugio altrove.
Ogni volta ci rendiamo conto che la logica militare è la via più distruttiva per entrambe le parti in conflitto ma viene considerata l’unica che i governi e i capi militari vogliono proseguire per esercitare il loro potere e difendere i propri interessi economici e politici. Come succede per il conflitto arabo-israeliano che ha radici antiche che risiedono nella nascita del sionismo e del nazionalismo palestinese verso la fine del XIX secolo.
Il territorio geografico della Palestina, allora sotto il dominio turco-ottomano, era infatti considerato allo stesso tempo dal movimento sionista come patria storica del popolo ebraico e dal movimento nazionalista palestinese come territorio appartenente ai suoi abitanti arabi palestinesi. Il conflitto tra le parti iniziò negli anni Venti del Novecento. Su larga scala, invece, la fase principale dello scontro ebbe luogo dal 1948, anno della proclamazione dello Stato di Israele, al 1973 e fu costituita da una serie di guerre arabo-israeliane: la guerra del 1948, la guerra di Suez del 1956, la guerra dei Sei giorni del 1967 e la guerra del Kippur del 1973.
Accordi di pace sono stati firmati tra Israele ed Egitto nel 1979 e tra Israele e Giordania nel 1994, cosicché il conflitto si è tramutato nel corso degli anni da conflitto arabo-israeliano su larga scala a un più localizzato conflitto israelo-palestinese, dando vita alla questione palestinese incentrata sul mutuo riconoscimento di sovranità e indipendenza dello Stato di Israele e dello Stato di Palestina, proclamato nel 1988 sui territori palestinesi occupati nel 1967.
Anche questo conflitto è stato caratterizzato da una serie di guerre tra Israele e organizzazioni come l’OLP e Hamas: la guerra del Libano del 1982, la prima e seconda Intifada e ripetute guerre nella Striscia di Gaza. Nonostante gli accordi di Oslo del 1993, che hanno portato al mutuo riconoscimento tra Israele e OLP e alla creazione dell’Autorità Nazionale Palestinese, e il riconoscimento dello Stato di Palestina da parte dell’ONU nel 2012, un accordo di pace definitivo non è stato ancora raggiunto, mentre proseguono a intermittenza sia le ostilità sia i negoziati.
Sono stati identificati quattro principali ostacoli alla risoluzione dei conflitti: la creazione di confini sicuri e definiti, il controllo di Gerusalemme, gli insediamenti israeliani in territori palestinesi e il diritto al ritorno dei rifugiati palestinesi. Dal 7 ottobre scorso, con l’attacco di Hamas a Israele, il conflitto sta assumendo man mano che passa il tempo contorni sempre più tragici. Il governo di destra di Netanyahu ha deciso di sferrare un attacco micidiale inarrestabile. Si metterà un argine al fiume di sangue di vittime civili che sta scorrendo?
Stiamo assistendo giorno dopo giorno a un ulteriore aggravamento della situazione. Alla violenza cieca di un’organizzazione terroristica, Hamas, che ha come unico scopo quello di distruggere Israele e di sostituirlo con uno Stato a matrice islamica, si oppone con tutte le sue forze militari Israele, che sta mettendo a ferro e fuoco la Striscia, generando uno dei genocidi più atroci della storia degli ultimi anni.
La sofferenza indicibile delle popolazioni, l’odio che sta aumentando, il rancore reciproco che si sta alimentando attraverso una campagna massmediatica inconcepibile stanno rendendo la pace un traguardo impossibile. I capi delle Chiese, le associazioni umanitarie, Medici senza Frontiere, Emergency lanciano continuamente appelli affinché cessi ogni tipo di violenza ma non vengono ascoltati. La violenza continua con attacchi ingiustificabili contro tutti i civili, con uccisioni di massa e atrocità inenarrabili. Le tensioni continuano a crescere e gli innocenti a pagare con la morte il prezzo più alto.
Hamas, figliazione diretta dei Fratelli musulmani di osservanza sunnita, è sostenuto dalla Turchia e dal Qatar. Ma il suo sostegno militare e politico è la Repubblica islamica dell’Iran, portabandiera del mondo musulmano sciita. Una faccenda complicatissima che vede attori interni e attori esterni. Un conflitto che vede schierate, su fronti opposti, le superpotenze: da un lato USA e Occidente nel sostegno a Israele, dall’altro Iran, Russia e perfino Cina a fianco della causa antiimperialista, cioè antiamericana. Ma cosa si nasconde dietro ogni conflitto? Qual è il tornaconto reale di queste guerre così spietate? Quali sono gli obiettivi della campagna massmediatica che sostiene entrambi i fronti con uguale tenacia?
La logica del profitto e del capitale rinforza il pensiero binario: o sei con me o sei contro di me. La costruzione del nemico è necessaria per fare la guerra. L’esproprio di territori e di risorse naturali all’interno di precisi confini fa parte della logica predatoria delle società capitalistiche, dove il singolo individuo viene sacrificato dagli interessi economici dei poteri forti che pagano e sostengono militarmente ogni scontro. L’industria bellica esige la guerra per produrre e consumare i suoi prodotti mortiferi. L’attività manifatturiera, che si occupa di produzione e sviluppo di armi, equipaggiamenti e tecnologie militari, coinvolge inoltre la progettazione e il commercio di tali materiali, dotazioni e attrezzature da guerra.
L’industria bellica produce armamenti principalmente per le forze armate statali. Ogni settore governativo partecipa alla compravendita internazionale di armi, munizioni e altri prodotti militari. La fabbricazione militare include armi da fuoco, munizioni, missili, aerei, veicoli, navi, sistemi elettronici e altro. L’industria bellica conduce anche un’importante ricerca e sviluppo nel campo delle tecnologie militari. C’è quindi una evidente scissione tra le anime dei paesi capitalistici che finanziano il terrorismo e le nazioni belligeranti. Si dichiara la pace come valore etico superiore ma poi si vendono e si comprano armi letali che vanno prodotte, vendute e consumate.
Gli USA e l’Europa, la Cina e la Russia sono i responsabili effettivi di tanti conflitti armati. Ciò che fanno, nel silenzio delle stanze del potere, viene coperto e sublimato da una propaganda militare che rende la via della mediazione e della riconciliazione assolutamente impossibile. Nessuno vuole la pace, perché i mercanti reali della guerra non si possono arricchire.