Se ci pensiamo bene, esistono così tanti testi sconosciuti o ancora non tradotti che si perde anche la sensazione di star lasciando indietro qualcosa. E, a dire la verità, anche volendo stare al passo, è impossibile per un lettore singolo. In questi casi, la nascita di case editrici che aiutano chi legge a recuperare perle della letteratura è sempre una buona cosa. È il caso di Ago Edizioni, piccola ma grande realtà editoriale nata da appena qualche mese e già portatrice di due titoli con la T maiuscola: Confessione di mezzanotte di Georges Duhamel e I condannati dell’Escambray di Norberto Fuentes.
Ago Edizioni ha una missione ben precisa: portare in Italia letteratura del Novecento mai tradotta, fuori catalogo o, in qualche maniera, dimenticata e fuori dal circuito. L’imperativo è la qualità altissima dei testi e non posso che confermare, quantomeno per il primo che ho avuto modo di leggere, Confessione di mezzanotte.
Si tratta di un romanzo che apre una serie di cinque libri dedicati al protagonista, Louis Salavin, e ambientati nella Parigi degli anni Venti. A quel tempo la città era il fulcro di un fermento dei cosiddetti “Roaring Twenties”, gli anni pazzi delle flappers, di Fitzgerald, dell’Art Nouveau, della moda, in risposta alle privazioni della Prima guerra mondiale. La capitale francese, si può dire, era il centro del mondo. Eppure Duhamel ci racconta una faccia diversa della medaglia: nel suo romanzo, malinconico e attualissimo, non c’è spazio per il glamour, ma solo per un lungo flusso di coscienza del suo peculiare protagonista.
La storia inizia quando Louis, per un gesto inconsulto e fuori luogo, perde il lavoro: da quel momento passerà interminabili giornate da vero e proprio flâneur alternando baratri di depressione nerissima a scoppi di gioia ed euforia incontrollate. Se per un attimo ci dimenticassimo che Louis, trentenne giovane uomo, è nato alla fine del 1800, potremmo facilmente scambiarlo per uno di noi, un millennial: ancora a casa della madre alla sua età, scapolo, senza prospettive future, senza voglia né genio, alla ricerca costante (ma nemmeno con così tanto impegno) di un altro lavoro, preferisce passare il tempo rimuginando sulla sua condizione.
Di fatto il romanzo è un dialogo a se stesso e contemporaneamente a un misterioso interlocutore incontrato per caso in un bar: quella persona è un “altro” narrativo, ma potremmo essere anche noi che leggiamo e ascoltiamo.
Il racconto intimo di Louis avviene tanto in spazi esterni quanto chiusi: la sua Parigi non è quella dei teatri, delle feste con champagne e caviale né delle sale da ballo; i suoi problemi (ma saranno poi veri problemi o solo sue proiezioni falsate?) si dilatano e comprimono per strade acciottolate e buie, quartieri dissonanti semisconosciuti e le quattro mura di alcuni edifici, tra tutti, casa sua e di sua madre, soprattutto nelle sembianze della sua piccola cameretta, la casa del suo unico amico Lanoue e qualche altro luogo occasionale che accoglie le sue farneticazioni.
Meraviglia quanto Louis rispecchi i giorni nostri: il romanzo è stato scritto cent’anni fa, ma rimane attualissimo perché gira intorno a tematiche che oggi sentiamo appartenerci. Il disorientamento, la precarietà, l’immobilità, la paura di un futuro senza prospettive e anche (perché no?) il riconoscimento di essere in fondo uomini normali, senza eccessi né lampi di genio, uomini e basta.
Louis non è un eroe, è una persona mediocre senza particolari talenti. Eppure, proprio per questo, empatizzare con lui è facile: nei suoi momenti di sconforto rivediamo tutti i nostri momenti di sconforto, nei suoi salti di gioia improvvisi e senza apparenti motivazioni vediamo i nostri salti di gioia, nei suoi pensieri d’amore e odio verso la madre vediamo i nostri pensieri nei confronti dei genitori.
Il romanzo tocca tematiche complesse: l’amore, la sua accettazione e il suo rifiuto, l’amicizia, il rapporto tra singolo e comunità, la salute mentale (probabilmente, se esaminassimo clinicamente Louis oggi, potremmo dire senza alcun dubbio che soffre di una qualche patologia borderline della personalità o quantomeno di attacchi di depressione), l’alienazione che deriva dalla presenza costante di un’introspezione marcatissima.
Confessione di mezzanotte, come dicevo in apertura, è il primo di una serie di cinque: la casa editrice si propone di pubblicarla per intero, così chi si affeziona a Louis com’è successo a me potrà seguire le sue future avventure.
Se quest’amore silenzioso fosse felice o infelice, era qualcosa a cui non pensavo affatto. L’idea che potessi essere ricambiato sconvolgeva a tal punto i miei propositi più fermi che preferivo scartarla. Viceversa, consideravo l’ipotesi contraria con curiosa predilezione. Un amore ignorato, disprezzato, sarebbe comunque amore per me. La felicità che bramavo rischiava di nutrirsi di molte sofferenze. (pag. 148)