Lunedì 18 dicembre. Prendo la metro A dalla fermata Ottaviano in direzione Vittorio Emanuele. Fa freddissimo a Roma. La metro è affollata, come tutti i giorni, ancor più però per le imminenti feste natalizie. Centinaia di persone si riversano per le strade del centro per acquistare i regali e prepararsi ad attimi di serenità e decompressione, a lunghissimi pranzi in famiglia.
Tra una fermata e l’altra mi diverto a osservare coloro che entrano nel vagone, a leggere i brand dei sacchetti che tengono in mano. Visi stanchi, visi rassegnati, visi più o meno felici. Eppure sembra che le cose che accadono nel mondo siano così lontane da noi, così distanti.
Proprio ieri leggevo in un capitolo de Io canto e la montagna balla di Irene Solà queste frasi: Niente, un incidente. Non avverto il brivido. Non ho una minima intuizione. Neanche un briciolo di paura. Niente. Un incidente. Come se gli incidenti succedessero lontano. Altrove. A persone che non conosci. Come se non dovesse mai essere oggi il giorno di un incidente. Niente. Niente. Un incidente. Centinaia di volti, di corpi, di voci su questa metro, ognuno con la propria storia, la propria identità, il proprio credo. “Faresti di tutto per questa donna, quell’uomo, questo ragazzo, quella bambina, se dovesse servire? Sì – mi sono detta – Darei me stessa per i diritti di tutte le persone che sono in questa metro”.
Alzo lo sguardo sul tabellone delle fermate e so che devo scendere. Sono un po’ in ritardo, ma mi muovo sicura nel gelo della notte di dicembre: ogni volta che cammino per strada salda sui miei valori mi sento sempre più forte, non so com’è. Giro l’angolo fuori da Piazza dell’Esquilino e vedo un gruppo di persone: non sono tantissime, lo spazio antistante non si riempie e le strade attorno non si riempiono nemmeno loro, ma so che questo è il posto giusto in cui stare oggi.
Infatti, il 18 dicembre è stata proclamata la giornata d’azione globale in cui le associazioni e le organizzazioni della società civile di tutto il mondo si sono mobilitate per chiedere ai leader politici il cessate il fuoco immediato e permanente nei territori della Palestina occupati da Israele e in Israele.
Abbiamo lasciato soli milioni di palestinesi. Questo pensiero mi fa sentire male, mi scuote qualcosa nello stomaco, fatico a deglutire. Penso alle persone incontrate nella metro, al fatto che la maggior parte di loro stesse tornando in case calde, magari con situazioni difficili da vivere, ma pur sempre senza un bombardamento nel pezzo di cielo scorto dalla finestra, pur sempre con un pezzo di pane o un po’ di pasta da mangiare.
Ascolto le persone in piazza: tra il 7 ottobre e il 14 dicembre 2023, nella Striscia di Gaza occupata sono morte oltre 18.787 persone. Nella Cisgiordania occupata sono stati uccisi 278 palestinesi e ogni giorno i coloni e l’esercito israeliani causano violenze, trasferimenti forzati, arresti di massa e uccisioni extragiudiziali. Inoltre, 1200 civili sono stati uccisi in Israele il 7 ottobre e risultano uccisi almeno 86 giornalisti e moltissimi membri dello staff delle Nazioni Unite mentre svolgevano il proprio lavoro di testimonianza e narrazione.
Israele in due mesi ha sganciato oltre 12mila bombe sulla Striscia di Gaza, ha compiuto più di 20mila raid, ha usato testate dal peso corporeo compreso tra i 150 e i 1.000 kg che lanciano frammenti a oltre 360 metri di distanza, molti ordigni potrebbero ancora non essere esplosi. Oltre ai morti, ci sono quasi 2 milioni di sfollati e più di 46mila case distrutte. Queste persone – i loro visi, i loro corpi, le loro voci – lottano ogni giorno per sopravvivere a una catastrofe umanitaria che sta facendo un numero di vittime civili senza precedenti. Nessun posto nella Striscia di Gaza è sicuro e nessuna di quelle persone ha una casa dove tornare, un letto caldo dove riposare in serenità, una famiglia con cui abbracciarsi a Natale.
In piazza si accendono le candele. Credo sia uno dei momenti più emozionanti di quest’anno, sento il calore delle fiammelle, vedo gli occhi di ragazze e ragazzi, donne e uomini, sembra che ci accorgiamo per la prima volta di esistere. Siamo davvero qui – quell’incidente non è poi così lontano, quei morti sono i morti della nostra stessa specie, quei corpi vivi che bruciano, che corrono, affamati, ricoperti di polvere e sangue, siamo noi. Siamo tutti uguali dinanzi alla definizione della vita. Le candele sono posizionate a formare la scritta Cessate il fuoco, provo a contarle, arrivo a cento, poi scopro che sono più di mille. Amo questo momento, ne sento la forza, il coraggio. Le candele accese rappresentano la luce che si vuole fare sul buio dei nostri politici, sul silenzio del mondo intero dinanzi a una nuova Auschwitz, mi chiedo cosa abbiamo imparato, mi rispondo niente.
Bisogna fare luce sui crimini di guerra e sui crimini di diritto internazionale che si stanno compiendo a Gaza. Mi immagino i volti, i corpi, le voci di chi in questo momento è a Bologna, Milano, Piacenza, Lucca, Lecce, Massa Marittima, Jesi e in altri posti che non conosco ad accendere la stessa scritta. Siamo qui e ci stringiamo forte, metaforicamente. Sento l’impotenza del singolo, l’invalidità di una vita vissuta da sola, la forza dell’esistenza quando si scende in piazza, quando si riconosce che le nostre scelte, i nostri bisogni, le nostre idee sono politica. Sempre.
Vorrei poter cambiare il mondo, la rabbia mi invade mentre leggo i cartelli che le persone sollevano: com’è possibile lasciare che la violenza dilaghi, che il suprematista abbia la gloria, che gli interessi economici, politici, geografici abbiano sempre la meglio, che non si possa credere nel concetto di uguaglianza, di libertà, di autodeterminazione. Vorrei poter trasferire questi valori dalla mia mente alle altre, lontano. Vorrei svegliarmi domani e sapere che qualcuno nella notte può aver urlato: cosa diamine abbiamo fatto?
Non possiamo lasciare sola la Palestina, non possiamo non scendere in piazza, non possiamo smettere di fare pressione, dobbiamo continuare a volere subito l’attuazione del diritto internazionale che è stato creato proprio per le tragedie come quella che sta accadendo a Gaza. Dobbiamo pretendere che l’unico senso imprescindibile che deve guidare le scelte nel mondo sia il senso di umanità, il rispetto dei diritti umani, la fine dell’occupazione israeliana e la messa in atto della giustizia per tutte le vittime palestinesi.
Mi giro e su un cartello leggo le associazioni presenti in piazza: Amnesty International Italia, Associazione Cooperazione e Solidarietà, Action Aid Italia, AOI, Assopace Palestina, Associazione di Amicizia Italo-Palestinese Firenze, Associazione culturale Liguria-Palestina, Associazione per il rinnovamento della sinistra, CISS, Coordinamento italiano Ngo internazionali, Comitato Madri x Roma Città Aperta, Consorzio delle Ong Piemontesi ETS, Cospe, Dimensioni Diverse, EducAid, Fondazione Arché, Libertà e Giustizia, Medici del Mondo, Oxfam Italia, Piattaforma delle OSC italiane in Medio Oriente e Mediterranee, Porti Aperti, Progetto Mondo, Purple Square, Rete italiana pace e disarmo, Save the Children Italia, SOS Villaggi dei bambini, Terre des Hommes ItaliaUISP, Vento di Terra, Volontariato internazionale per lo Sviluppo, WeWorld, AIDOS, Associazione Indipendenza, Casa Internazionale delle Donne di Roma, Casa per la Pace Modena, CGIL, Cultura è libertà, Laboratorio ebraico antirazzista, Portico della Pace Bologna e qualche altra che non sono riuscita a fotografare.
Non possiamo lasciare che facciano tutto da sole: dobbiamo unirci – noi civili tutti – contro la narrazione dominante della difesa di Israele, proprio ora che la curva della mediaticità si abbassa, proprio ora che il Natale si avvicina e desideriamo solamente lasciarci andare alla goliardia e ai bagordi.
Non lasciamo sola la Palestina. Quei volti, quei corpi, quelle voci, siamo noi.
Contributo a cura di Clara Marziali