Non esiste la meta. Esiste il presente.
Noi siamo il passato oscuro del mondo,
noi realizziamo il presente.
Il pensiero di Carla Lonzi racchiuso nel suo saggio Sputiamo su Hegel è andato in ristampa quest’anno con la casa editrice La Tartaruga, arricchito da altri suoi scritti, a cura di Annarosa Buttarelli. Un recupero importante e necessario, come è necessario studiare e ristudiare queste pagine ancora adesso sconvolgenti e di una efficacia disarmante. Una scrittura che rivoluziona lo sguardo per la sua prosa magnifica, per la forza prorompente della sua riflessione politica e sociale.
Le sue opere inizialmente circolarono solo attraverso fotocopie e fotografie scattate male, diventando ugualmente un punto di riferimento del femminismo, di generazione in generazione fino alla terza ondata femminista nel nostro Paese. Dice Annarosa Buttarelli in una intervista: Carla Lonzi è un’autrice che insegna a entrare in rapporto diretto con gli scritti che derivano dalla trasformazione di chi li ha creati, e augura la trasformazione di chi osa leggerli senza ringhiere accademiche. La scelta di riproporre i suoi saggi senza apparato critico ha evitato di incasellare la produzione e il pensiero della scrittrice in prefazioni o postfazioni che contaminerebbero il suo percorso speculativo. Questa decisione è perfettamente coerente con la vita di Carla Lonzi, vissuta all’insegna della libertà di opinione, libertà da ogni imposizione patriarcale, contro ogni retaggio sessista della società.
Nata a Firenze il 6 marzo del 1931, Carla Lonzi ha chiara sin da subito la sua passione per la cultura e per l’istruzione universitaria. Si laurea con lode con la tesi in Storia dell’arte, intitolata Rapporti tra la scena e le arti figurative dalla fine dell’Ottocento. Si afferma velocemente come critica d’arte ma è attratta dalle dinamiche di relazione e di potere tra l’uomo e la donna. Si accorge delle ingiustizie, delle prevaricazioni e dei comportamenti retrogradi ai danni delle donne, e inizia a denunciare apertamente la situazione, subendo così un forte isolamento da parte dell’ambiente in cui è vissuta.
Ha scritto la giornalista e filosofa Ida Dominijanni in un articolo per Il Manifesto: C’è in Lonzi la radice del femminismo italiano, Lonzi non era filosofa, ma lo sapeva fare: estraeva concetti, duraturi, dall’esperienza contingente.
Affermò il pensiero della differenza: una differenza costitutiva che non si incarna in un progetto egualitario di assimilazione delle donne a un mondo pensato dagli uomini. Il suo fu un cambio di prospettiva radicale, capace di pensare fuori dalla cultura imperante, dalle istituzioni e da un certo femminismo.
La filosofa femminista Luisa Muraro, una delle fondatrici della Libreria delle donne di Milano e di Diotima, comunità filosofica femminista nata nel 1983, ha spiegato che dopo la cosiddetta prima ondata del femminismo (dal 1850 fino alla Prima guerra mondiale con l’obiettivo della conquista di pari diritti secondo la legge), nacque il femminismo della seconda ondata, in un momento storico caratterizzato dalla ricerca di culture alternative a quella occidentale, dalle passioni politiche e dalla ribellione giovanile verso l’ordine costituito.
Scrive ancora: Separarsi dalla politica degli uomini per formare gruppi di sole donne fu ovunque il gesto inaugurale della seconda ondata femminista. Non fu un gesto contro gli uomini, sebbene così fosse inteso dai più, ma fu un atto di indipendenza nei loro confronti e un esodo dall’ordine simbolico patriarcale. Il movimento non aveva organizzazione, si espanse per contatti e per contagio.
In Europa, la divisione principale fu tra il “femminismo della parità” e il “femminismo della differenza”. Nel femminismo della parità, derivante direttamente da quello emancipazionista dell’Ottocento, ogni segno di differenza sessuale era considerato discriminatorio e per questo portò avanti la richiesta di uguaglianza giuridica, politica, economica delle donne.
Il femminismo della differenza (femminismo radicale) contestò questo meccanismo, sostenendo non il concetto di parità ma quello di differenza, non negando la parità dei diritti, ma lavorando sulla differenza femminile, sulla presa di coscienza della differenza dell’essere donna. Il femminismo radicale non mise al centro delle proprie lotte la sfera del lavoro produttivo e dei diritti civili e giuridici ma andò alla radice della subordinazione delle donne, quella del lavoro riproduttivo e della sessualità, e Carla Lonzi fu l’iniziatrice di questa rivolta.
Nel 1970 con l’artista Carla Accardi e la giornalista Elvira Banotti, Lonzi formò il gruppo di Rivolta Femminile e, per garantirsi una totale autonomia editoriale ed economica, fondarono la casa editrice Scritti di Rivolta Femminile. A partire da quel primo gruppo romano ne vennero fondati altri, a Milano e in molte altre città. E tutti nacquero attorno alle pratiche, nominate nel Manifesto, del separatismo e dell’autocoscienza, del partire dalle relazioni tra donne, del partire da sé e del fare pensiero di questa esperienza.
Dopo la pubblicazione nel 1969 di Autoritratto, libro composto dal montaggio dei suoi colloqui con quattordici artisti registrati negli anni Sessanta, Lonzi si dedicò completamente alla pratica femminista. In ogni sua pagina, l’ispirazione filosofica è legata al seguente concetto: la donna non va definita in rapporto all’uomo. Su questa coscienza si fonda ogni battaglia e la ricerca di libertà delle donne. L’uomo non è il modello a cui adeguare il processo della scoperta di sé da parte della donna. La donna è l’altro rispetto all’uomo. L’uomo è l’altro rispetto alla donna. L’uguaglianza è un tentativo ideologico per asservire la donna a più alti livelli. Identificare la donna all’uomo significa annullare l’ultima via di liberazione. Liberarsi per la donna non vuol dire accettare la stessa vita dell’uomo perché è invivibile, ma esprimere il suo senso dell’esistenza.
Nel suo saggio Sputiamo su Hegel, l’obiettivo dell’uguaglianza viene decostruito attraverso le tesi di Hegel, Marx e Freud. L’oppressione della donna, scrive Lonzi, non si risolve nell’uguaglianza, ma prosegue nell’uguaglianza. Non si risolve nella rivoluzione, ma prosegue nella rivoluzione. La differenza, contro l’uguaglianza complice, vuole operare un mutamento globale della civiltà, attraverso pratiche di critica della politica tradizionale e pratiche di conflitto: Il porsi della donna non implica una partecipazione al potere maschile, ma una messa in questione del concetto di potere.
La sua tesi si estende poi all’educazione sessuale di genere. Afferma che la donna vaginale obbedisce a una sessualità voluta da una logica prettamente patriarcale, mentre la donna clitoridea conosce e segue il suo corpo. Erano gli anni delle battaglie per il divorzio, dei processi per il reato di aborto e delle prime grandi manifestazioni femministe di massa. Scrive che il modello e l’atto sessuale non prevedono il piacere femminile ma solo quello maschile, che conduce alla procreazione e quindi all’aborto.
La sua prospettiva filosofica riguardo la sessualità femminile rivoluziona e capovolge assolutamente l’educazione sessuale delle donne che immaginano il loro piacere solo in relazione al coito maschile. Individua così una via liberatoria al piacere delle donne. Così anche il rischio dell’aborto diventa l’effetto di un assoggettamento psicologico alla sessualità prevista dal sistema patriarcale. Parte quindi dalla conoscenza del corpo della donna, liberato dall’obbedienza al copione della compiacenza sessuale.
Il concepimento è frutto di una violenza della cultura sessuale maschile sulla donna, che viene poi responsabilizzata di una situazione che invece ha subìto. Negandole la libertà di aborto l’uomo trasforma il suo sopruso in una colpa della donna. Concedendole tale libertà l’uomo la solleva della propria condanna attirandola in una nuova solidarietà.
L’aborto, insomma, non è la soluzione per una donna libera, ma per la donna colonizzata dal sistema patriarcale. La via d’uscita, per Lonzi, parte dalla sfera della sessualità. Dice che la natura ci ha dotate di un organo sessuale distinto dalla procreazione e che è sulla base di questo che noi troveremo la nostra autonomia e svilupperemo una sessualità che parta dal nostro fisiologico centro del piacere, la clitoride. La donna gode di una sessualità esterna alla vagina, dunque tale da poter essere affermata senza rischiare il concepimento, una sessualità libera, non vincolata alla procreazione o all’eterosessualità vaginale. Lonzi non si oppone al rapporto eterosessuale, ma pensa che vada ripensato e ri-contrattato tenendo conto del piacere femminile e conquistando una differente sessualità, in cui piacere e procreazione non possano più essere identificati: una sessualità clitoridea.
Il sesso femminile è la clitoride, il sesso maschile è il pene. Nell’uomo il meccanismo del piacere è strettamente connesso al meccanismo della riproduzione, nella donna meccanismo di piacere e meccanismo della riproduzione sono comunicanti, ma non coincidono.
Avere imposto alla donna una coincidenza che non esisteva come dato di fatto nella sua fisiologia è stato un gesto di violenza culturale che non ha riscontro in nessun altro tipo di colonizzazione.
La cultura sessuale patriarcale, essendo rigorosamente procreativa, ha creato per la donna un modello di piacere vaginale.
La donna clitoridea non aspira al matriarcato, che è una mitica epoca di donne vaginali glorificate. La donna non deve identificarsi con la grande-madre, la vagina del mondo, ma può riconoscersi nel suo corpo, nella piccola clitoride che indica la sua liberazione. Essa chiede carezze, non eroismi; vuole dare carezze, non assoluzione e adorazione perché è un essere umano sessuato.
Si può immaginare la forza dirompente del pensiero di Carla Lonzi, la vulcanica potenzialità della sua speculazione filosofica che viene tratteggiata in una prosa magnifica per chiarezza e direzione esplicitata. Nulla è criptico ma viene spiegato con una tale potenza da sconvolgere ogni tradizionale modo di pensare. Una raccolta che presenta una attualità assolutamente incredibile. L’educazione di genere è ancora attestata su parametri di dipendenza psicofisica dal maschio e questa ipotesi liberatoria che mette al centro la capacità della donna di conoscere e gestire la propria libertà e la propria sessualità è un traguardo non raggiunto.
A metà degli anni Settanta l’edizione integrale dei suoi primi testi fu tradotta prima in Argentina e poi in Germania. Lonzi è studiata in tutto il mondo ed è riconosciuta da alcuni storici della filosofia come l’unica avanguardia filosofica italiana del XX secolo, eppure molti in Italia non la conoscono. È necessario riprendere in mano la sua scrittura e confrontarci oggi con il suo pensiero.
Non conoscevo il suo pensiero. Vi sono intuizioni profetiche sulla questione di genere. Grazie per questo articolo che ne ha delineato il pensiero magistralmente attraversandolo in tutta la sua fecondità e attualità .