L’arte ha un potere enorme, quello di suscitare le emozioni più disparate in chi la osserva, partendo da uno sguardo più immediato fino alla conoscenza di ciò che l’ha preceduta. Fra i numerosi capolavori della storia, vi è una fetta per cui il concetto di bellezza è diversamente associabile. Opere introspettive, inquietanti, scioccanti. Opere che dopo averle viste difficilmente vengono dimenticate per essere inscritte in un filone cosiddetto dell’orrore. Per cui, mentre il paese si appresta a celebrare l’oramai sdoganata festa di Halloween, vediamo insieme alcuni tra i dipinti più inquietanti.
Impossibile non citare Incubo di Johann Heinrich Füssli, il cui titolo è da sé più che esaustivo. Realizzato nel 1781 e oggi al Detroit Institute of Arts, è forse uno dei più celebri di epoca romantica nel suo genere, nonché capolavoro dell’artista. Una giovane donna giace sul letto addormentata – sebbene dalla posa innaturale sembri più che altro morta – e, poggiata sul suo ventre, una creatura mostruosa (il coboldo, una sorta di gargoyle) fissa lo spettatore, mentre il muso di una cavalla dagli occhi vitrei si affaccia spettrale dalle tende sullo sfondo. Un dipinto forse ispirato alla mitologia germanica e dalla doppia visione poiché offre al tempo stesso sia l’immagine della donna che sogna sia quella del sogno stesso.
Ecco proiettate sulla tela tutte le angosce del pittore, da sempre grandemente interessato all’orrore e al macabro miscelato a una forte componente sessuale. Da notare il suggestivo contrasto cromatico tra lo sfondo nero e le tinte candide della figura femminile. Questo dipinto è inoltre associato a quella che gli studiosi definiscono paralisi del sonno, una condizione di risveglio parziale in cui visioni oniriche si mescolano alla realtà assieme a una sensazione di oppressione toracica che rende il malcapitato impossibilitato a reagire.
In un’epoca in cui gli orrori diventano concreti, associabili ai conflitti mondiali, Salvador Dalí dipinse nel 1940 Il volto della guerra, dove è ritratta un’enorme testa umana dai lineamenti distorti in una smorfia di dolore. Al posto di occhi e bocca ci sono tre teschi e all’interno di questi altri teschi ancora, in una spirale destinata a ripetersi nel tempo. È la metafora della morte, che genera morte, che dimostra quanto l’uomo sia incapace di imparare dagli errori del passato. Attorno al soggetto, dei serpenti e un paesaggio desertico che amplificano il senso di fine e distruzione. Un tema ricorrente nelle opere del pittore, il quale imprime su tela i traumi e le angosce vissuti, utilizzando un preciso fenomeno della psiche, l’elemento cardine della sua poetica surrealista: la lucida paranoia.
Proseguiamo con Casa lungo la ferrovia, di Edward Hopper, al quale abbiamo già dedicato un’analisi a parte. Il noto pittore della solitudine nell’American way, maggior esponente del realismo statunitense, realizzò nel 1925 questo dipinto che, al primo sguardo, potrebbe sembrare un semplice edificio in stile vittoriano un po’ isolato. Cosa c’è dunque di così inquietante? Ebbene, l’opera ha ispirato nientemeno che il regista Alfred Hitchcock per la realizzazione della celeberrima casa di Norman Bates nel film cult Psycho. Non solo, anche la casa della famiglia Addams, nella serie tv, ha praticamente le stesse fattezze.
Saturno che divora i suoi figli di Francisco Goya (1819) è senza dubbio un altro grande caposaldo dell’orrore nell’arte. Conservata al Museo del Prado di Madrid, l’opera fa parte della nota serie di Pitture nere, il culmine della visione desolante dell’esistenza secondo l’autore. Rappresenta uno degli episodi più cruenti della mitologia greca: il dio Saturno (Crono), padre di tutti gli dèi, decide di mangiare i propri figli poiché gli è stato predetto che uno di loro lo avrebbe scalzato. Il volto di Crono non è altro che quello di un vecchio completamente perduto nella follia, mentre mastica il corpo semi-maciullato di uno dei suoi figli. Il tutto su uno sfondo nero che evidenzia ancor di più gli occhi spiritati del dio e il sangue che cola. Secondo alcuni, la scelta del soggetto potrebbe essere un’allusione alla guerra d’indipendenza spagnola o addirittura all’eterno conflitto tra giovinezza e vecchiaia.
Sempre di Goya, la precedente acquaforte Il sonno della ragione genera mostri (1797), della serie dei Capricci, dimostrava già le tinte incredibilmente macabre, sebbene più edulcorate, del pittore. Più che un’opera un monito, a ricordare l’importanza del pensiero critico e della cultura. È lo stesso autore a spiegarne il significato: «La fantasia abbandonata dalla ragione genera mostri impossibili: unita a lei è madre delle arti e origine delle meraviglie».
Cosa c’è di più raccapricciante del ritratto di un uomo che ha scelto di vendere la sua anima al diavolo? Ben poco, specie se ricordate l’epilogo del capolavoro letterario di Oscar Wilde. Dorian Gray decide di vendere l’anima al diavolo per mantenere intatta la propria giovinezza e bellezza. Al suo posto, a invecchiare e deteriorarsi è il suo ritratto, mostrandone anche la corruzione interiore. L’artista contemporaneo Ivan Albright mette dunque su tela Il Ritratto di Dorian Gray (1943), un dipinto dove al suo interno tutto si decompone, esattamente come la pelle del giovane protagonista. Attorno a lui, i simboli della sua esistenza di vizi e piaceri estremi. Un’esistenza bellissima nel suo inesorabile decadimento.
Medusa di Pieter Paul Rubens (1617-18, immagine in copertina) è un altro dei cardini dell’arte orrorifica. Nelle varie rappresentazioni, Medusa era una delle tre Gorgoni. In tante, era bellissima e per la sua vanità fu punita dalla dea Atena che la tramutò in una creatura dalla capigliatura di vipere e lo sguardo in grado di pietrificare chiunque la guardasse. Solo Perseo riuscì a ucciderla, mostrandole il suo stesso riflesso nella lama della spada. Ritratta in numerosi dipinti – quello di Caravaggio è ormai un cult –, qui Rubens sceglie di mostrare la sua testa mozza riversa sul pavimento, gli occhi sbarrati e ancora attoniti. In modo inquietante, conserva l’espressione di chi non si capacita di essere stato sconfitto, in un groviglio di serpenti ancora vivi e vermi, simbolo di morte e putrefazione.
Protagonista dei nostri peggiori incubi resta Studio dal ritratto di Innocenzo X di Francis Bacon (1953). Si tratta di una riproposizione del celebre dipinto di Diego Velázquez Ritratto di Papa Innocenzo X, del 1650, uno di una lunga serie di opere (Screaming Pope) aventi lo stesso tema. A differenza dell’originale, questo mostra il papa deformato in un grido di terrore, le mani salde sui braccioli della sedia, in una posa che ricorda quella dei condannati alla sedia elettrica. Spiccano al posto del rosso cardinalizio le tinte viola e bianche del pontefice, quelle gialle della sedia e nere dello sfondo anch’esso distorto. La tensione trasmessa dall’opera di Velázquez è qui finalmente tangibile. Per me è diventato una vera e propria ossessione scrisse Bacon, rivelando tutte le paturnie dell’animo umano di cui l’artista era così affascinato, oltre al disagio esistenziale della società post-bellica.
Infine, non poteva di certo mancare lui, dal mondo definito il quadro maledetto. The hands resist him di Bill Stoneham (1972) mostra un bambino e quella che all’apparenza sembra una bambina ma che in realtà è una bambola dai raggelanti occhi cavi. Dietro di loro, numerose mani si poggiano sul vetro. Che siano altri bambini in cerca di aiuto? Che sia una metafora di mondi sconosciuti, di realtà parallele? Le ipotesi fatte su questo dipinto sono infinite, specie dopo le testimonianze dei proprietari convinti che i bambini uscissero letteralmente dal quadro. Una leggenda a cui hanno fatto seguito vari meme e racconti ma che è bastata a conferirgli la fama del quadro più stregato di internet.
E voi da quale opera d’arte siete terrorizzati?