La pesca, questo il titolo del nuovissimo spot della nota catena di supermercati Esselunga. Negli ultimi giorni, pare che TV, internet e social non parlino d’altro e lo spot – quasi un piccolo cortometraggio poiché dura ben due minuti – è letteralmente al centro di qualsivoglia polemica. Prima fra tutte, l’accusa di aver creato una pubblicità antidivorzista. Ma andiamo con ordine.
In una fascia oraria strategicamente impeccabile e appena dopo il telegiornale, una donna con la sua figlioletta sta facendo la spesa al supermercato. La bambina si allontana, facendo allarmare la mamma, ma subito viene ritrovata nel reparto frutta con in mano una pesca che desidera acquistare. Durante il tragitto di ritorno, in macchina, c’è tensione, gli occhi rivolti a una famigliola felice – padre, madre e figlio – insieme sul marciapiede. Una volta a casa, il papà, chiaramente separato dalla moglie, passa a prendere la figlia per trascorrere del tempo con lei e quest’ultima tira fuori la pesca come regalo, dicendogli che gliela manda la mamma, in un tenero tentativo di farli riavvicinare. L’uomo è sorpreso, promette di chiamare la mamma per ringraziarla. Solleva gli occhi nella speranza di vederla affacciata alla finestra ma, ovviamente, lì non c’è nessuno. Non c’è una spesa che non sia importante è lo slogan finale.
Si scatena dunque un putiferio. Se da un lato abbiamo chi ha difeso lo spot definendolo realistico e approfittandone per ribadire subdolamente che la famiglia tradizionale è l’unica possibile (ovviamente Giorgia Meloni e Matteo Salvini sono in prima linea), dall’altro abbiamo chi si è sentito piuttosto infastidito se non proprio indignato dai toni tanto stigmatizzati e antidivorzisti. Per non parlare del web, ormai esploso in una valanga di meme.
Luca Lorenzini, cofondatore con Luca Pannese dell’agenzia creativa Small, è l’ideatore dello spot e, di fronte alla valanga di polemiche, si è giustificato definendo la rappresentazione fatta da Esselunga come antitetica rispetto a quella a cui la Mulino Bianco ci ha da sempre abituati. «Quello era l’esempio della famiglia perfetta a quei tempi» ha detto in due interviste a la Repubblica e a La Stampa. «Il nostro è il racconto di un altro tipo di famiglia». Ha poi aggiunto: «Di solito vediamo la famiglia felice classica, che si alza al mattino, tutti fanno colazione assieme, sono felici e uniti. Di famiglie così ce ne sono tante, noi abbiamo deciso di raccontarne un’altra, che non è irreale».
Sebbene, al primo impatto, le emozioni suscitate possano anche essere quelle di commozione o di tenerezza, basta poco per rendersi conto di un fatto. In questo spot c’è qualcosa che non va. Urge una prima considerazione: non è il tipo di famiglia rappresentato il dilemma. La problematicità sta nel modo in cui questa famiglia viene mostrata e cioè un carico di stereotipi vecchi come il mondo. E se una cosa fa tanto discutere allora è proprio questo il motivo per cui è ancora importante che se ne parli.
Lo spot utilizza l’equazione famiglia unita=famiglia felice e famiglia separata=famiglia triste, senza considerare vie di mezzo, riferendosi a un modello culturale tradizionale per secoli imposto. Soprattutto se si tiene conto che la legge sul divorzio risale ad appena cinquantatré anni fa. Ciò ha prodotto nel tempo un giudizio negativo verso le coppie separate, che è realtà per moltissime persone ma che è paradossalmente ancora difficile da accettare.
Mettiamo una cosa in chiaro: separarsi non è una passeggiata, né dal punto di vista della coppia né da quello dei figli, specie se piccoli. Spesso genera sofferenza, sentimenti destabilizzanti, soprattutto nelle fasi iniziali e lo dico da persona con alle spalle una storia di genitori separati. Ma c’è tanto altro. Per un figlio, fondamentale è avere genitori felici prima che uniti e la separazione che a tutti i costi si vuole vedere come inevitabilmente drammatica spesso è un ritorno alla serenità, quella che si ripercuote poi sul benessere dei figli. Guardando questo spot, se non saranno pietà o malinconia, il sentimento primario provato da una coppia separata non potrà che essere uno: il senso di colpa. Colpa per essersi posizionati al primo posto, per aver preferito il proprio bene a quello dei figli, come se l’unico bene per loro concepibile fosse quello di una famiglia tradizionalmente unita. Non importa se infelice.
C’è da riflettere, poi, anche sulla scena della pesca. La responsabilizzazione dei figli nel tentare di far tornare insieme i genitori non è cosa da poco e il rischio che alcuni bambini si sentano in dovere di farlo, con conseguente senso di colpa nel caso non vi riuscissero, c’è.
Un altro tasto dolente è la rappresentazione stereotipicamente negativa della madre. Colei che si perde la figlia al supermercato, che guarda arcigna dietro le tende, mentre l’uomo, premuroso, sorridente e con sguardo sognante, ci spera davvero di vederla affacciata. Chi sarà, dunque, l’artefice di tale separazione?
Nulla toglie che le intenzioni potessero essere diverse, gliene diamo atto. Peccato che non sono tutto e a volte anche le migliori non coincidono con il risultato. O magari, come ha detto in un suo post Instagram l’attivista e scrittrice Carlotta Vagnoli: «Lo spot si inserisce in un contesto filogovernativo ben preciso. […] Per fidelizzare la massa il primo passaggio è quello di colpevolizzare tutto ciò che mira in direzione ostinata e contraria alle ideologie che stanno alla base dei nazionalismi più rigidi».
Sarà forse un caso che Esselunga sia tra i main sponsor degli Stati Generali della Natalità, evento che sta cercando di ricostruire un’immagine forte della famiglia tradizionale? I misteri della vita. Insomma, come approfittare dell’attuale clima politico reazionario per farsi un po’ di (in)sana pubblicità. Ah, se proprio volete sapere come si fa uno spot efficace sulle famiglie separate, magari guardate quello di Ikea del 2016.