Milleottocento chilometri a separarle Pontida e Lampedusa, mare e montagna, una distesa, infinita, di Italia. Domenica, per qualche ora, hanno provato ad accomunarle. Nessun destino, però, avrebbe potuto e ancora potrebbe. Da una parte, un manto di verde, camicia e prato, a volte un carnevale. Dall’altra, occhi, braccia e tanto blu. Che se il mondo finisse oggi, si vedrebbe immortalato per sempre in quello che non avrebbe dovuto e in quello che, invece, avrebbe dovuto essere.
Domenica, mentre nella bergamasca si gridava alla nazionalità perduta, al recupero di una matrice cristiana, ariana e pura dell’uomo bianco – sul palco, tra gli altri, il leader della Lega Matteo Salvini e la francese Marine Le Pen – nella terra di mezzo che è Lampedusa, ultimo baluardo d’Europa, primo d’Africa, l’umano e l’inumano percorrevano strade, e voci, che mai potrebbero in qualche modo somigliarsi. Mentre i cittadini accoglievano – non a fatica – l’ennesimo barchino di volti senza nome, la Premier Giorgia Meloni e la Presidente della Commissione Europea Ursula von der Leyen illudevano quegli stessi cittadini di un cambio che definire di rotta suonerebbe persino di cattivo gusto. Almeno quanto quel remiamo insieme che la sorella d’Italia non ha risparmiato a poche bracciate dal cimitero più grande del Vecchio Continente e forse non solo.
A dare il benvenuto alle due, tra telecamere e stampa di ogni dove, anche qualche manifestante locale che chiedeva ascolto, chiedeva aiuto, chiedeva di ricordarsi di lui. Perché di Lampedusa, è vero, nessuno si ricorda mai. Se non per una passerella, una foto, quest’estate pure per la tintarella di chi ha pensato all’isola come la meraviglia che è ma non come il luogo dove ogni anno, ogni giorno, sbarcano centinaia, poi migliaia, poi decine di migliaia di uomini, donne e tanti, tantissimi minori in cerca di un paese innocente. È successo anche nella settimana appena trascorsa, forse come mai. È successo che arrivasse una mamma con il suo bambino morto tra le braccia. Lo aveva partorito lì, sull’imbarcazione che avrebbe dovuto regalare a entrambi una vita. Non l’avranno. Ci dormiremo su.
Così, il popolo lampedusano che mai – mai – si tira indietro quando c’è da assistere, accogliere, sfamare, abbracciare, vestire i disperati della terra, ha chiesto soltanto di essere capito. Lui che, invece, ha sempre compreso i migranti, lo Stato, persino l’Europa. In cambio ha ottenuto una passerella, un titolo di giornale e niente più. Una promessa. Oggi persino una telefonata del questore di Agrigento Emanuele Ricifari che, dapprima con la voce grossa, poi con fare indisponente ha augurato camomilla e più pilu pe’ tutti. Per tutti, però, c’è soltanto un’altra presa in giro. Il Paese di Cetto La Qualunque, ha ragione il questore.
Eppure, il cimitero di barchini, alluminio e legno, è reale. Non è finzione, non è satira, nessun comico ci penserebbe mai. Ci pensa, invece, il piano in dieci punti che Meloni e von der Leyen hanno illustrato – a detta loro – per combattere quella che chiamano ancora emergenza migranti. Come fosse la prima volta, Bruxelles si è impegnata a intensificare i suoi sforzi per trasferire i nuovi arrivati, sollecitando anche i vari Paesi europei ad attivare il meccanismo volontario di solidarietà per accogliere le persone migranti sui propri territori nazionali. Frontex si occuperà, inoltre, di supportare le operazioni di rimpatrio verso gli Stati di origine. A tal fine, dovranno intensificarsi i rapporti con questi ultimi. E sappiamo bene quanto successo abbiano avuto simili accordi.
Von der Leyen ha, poi, alzato la voce, forse ricordando chi c’era a milleottocento chilometri da lei. Per rilanciare, insomma: «Saremo noi a decidere chi arriva in Europa e non i trafficanti». Ed eccola lì la parolina magica: trafficanti. Scafisti. A oggi, nessuno li ha mai scoraggiati. La nuova soluzione proposta sarà, allora, sequestrare e distruggere le imbarcazioni utilizzate per il trasbordo dei migranti. O, in alternativa, la creazione di corridoi umanitari che la Presidente della Commissione Europea ha definito la misura più efficace per contrastare le bugie dei trafficanti e spezzare il circolo vizioso che si è creato negli anni. Sarebbe curioso chiederle perché non ci abbia pensato prima.
L’Agenzia europea per l’asilo verrà affiancata, poi, alle autorità nazionali per esaminare più in fretta le domande presentate dai migranti, respingendo quelle prive di fondamento e rispedendo nei Paesi di origine gli interessati. Giorgia Meloni, invece, ha chiesto di accelerare il memorandum sottoscritto con la Tunisia il 16 luglio scorso.
L’obiettivo – si legge nel documento – è un approccio olistico alla migrazione per porre rimedio alle cause profonde dell’immigrazione irregolare ma è chiaro a tutti che si tratta dell’ennesimo fallimento di una volontà comunitaria che, incapace di agire, subappalta consapevolmente disumanità. In questo caso a Kaïs Saïed, l’ultimo dittatore a cui l’Europa dei giusti ha venduto vite che spera diventino morte.
La Presidente del Consiglio è tornata, poi, a blaterare di blocco navale, con von der Leyen che ha glissato forse per evitarle una figuraccia. Praticare un blocco navale, infatti, significa muovere guerra a un altro Paese. Significa un’operazione militare che impedisce con la forza l’entrata o l’uscita di una nave da uno o più porti di uno Stato coinvolto in un conflitto. Quindi, a meno che Giorgia Meloni non voglia aggiungere un ulteriore conflitto allo scacchiere mondiale o sperare che le organizzazioni internazionali sostengano la sua follia, pare evidente che la proposta sia piuttosto impraticabile.
Parole, dunque, ma concretezza zero. Nulla che non fosse già stato detto, ripetuto, sussurrato, talvolta pure urlato. Pura propaganda, un’altra passerella. Degli ospiti dell’hotspot, invece, non si è parlato. Nessuno ne ha fatto menzione. Una ripulita veloce per una visita ancora più veloce nella sezione in cui le autorità hanno pensato di immortalarsi. Gli stessi passi, in cinque giorni, sono stati fatti da quasi 12mila persone. Adesso, tra quelle mura, ci sono duemila migranti, ma ne arriveranno presto altri. A nessuno di loro, Meloni e von der Leyen hanno pensato di dedicare uno sguardo, una parola, nemmeno un minimo di decenza. L’aereo, da Lampedusa, è ripartito alle dodici in punto. Due ore per un’emergenza che richiede misure urgenti.
È durato di più il rigurgito di Pontida. Il richiamo alle origini di una Lega che non ha mai smesso la camicia verde ma blatera d’Europa come se le appartenesse. Come se le importasse. E lo fa, Pontida, lodando il suo leader, Matteo Salvini, ricordando quando c’era lui. E cosa succedeva quando c’era lui? Nulla di diverso da adesso, solo con qualche sequestro di nave delle ONG in più, tweet roboanti e processi a cui poi si è sottratto. C’era la vergogna di persone – persone! – lasciate al largo per giorni e giorni fino all’inevitabile sbarco. Perché, per fortuna, le convenzioni, le leggi, il diritto esistono tra tutti i nonostante.
E quei nonostante hanno nomi e cognomi, storie e propaganda politica. Da Pontida a Lampedusa e oltre, ben al di là di milleottocento chilometri, di mare e montagna, una distesa infinita di disumanità. Che se il mondo finisse oggi, si vedrebbe immortalato per sempre in quello che non avrebbe dovuto e, invece, ha voluto essere.