Tra il 1881 e il 1885 anche in Italia arrivò la cartolina, la prima tappa fu Milano, poi toccò a Napoli. Senza dubbio, gran parte del merito va riconosciuto all’editore musicale Ferdinando Bideri, il quale, nell’ultimo decennio dell’Ottocento, pubblicò una serie di cartoline a colori eseguite dal pittore Pietro Scoppetta e dedicate ad alcune delle più celebri melodie locali, come E spingule frangese e ’O sole mio. Tali cartoline furono a lungo vendute, ma ben presto Bideri decise di affiancarvene altre, di tipo fotografico, in grado di mostrare, ad esempio, le “macchiette” di Ferdinando Russo che il comico Nicola Maldacea declamava, grazie all’accompagnamento della musica di Vincenzo Valente, al Salone Margherita, primo e massimo café chantant italiano: un vanto autentico della belle époque partenopea.
A Napoli il passaggio dal disegno all’arte fotografica fu, per quel che riguarda le cartoline, abbastanza rapido. Nomi come quelli di Pietro Scoppetta e Alberto Della Valle rimasero, infatti, del tutto isolati. Gli stampatori partenopei di fine Ottocento e dei primi del Novecento puntarono, di fatto, soprattutto sulla fotografia, prediligendone, almeno all’inizio, il valore interpretativo, più che documentario. Giovanotti sfaccendati furono assoldati da improvvisati registi e incitati a travestirsi da “guappi” e “camorristi” e a fingere di minacciarsi reciprocamente con acuminati pugnali: in queste pose furono ripresi e consegnati alla “creduloneria” dei forestieri.
La città di allora, quella che eseguiva i ritratti e che, contemporaneamente, si lasciava ritrarre, non considerava affatto disdicevole esibire la propria pittoresca miseria. Strade, vie, piazze, chiese, palazzi, sino a quel momento ignorati dai fotografi, furono riprodotti in cartolina. L’attenzione degli editori, però, fu rivolta anche verso il folklore, i mestieri, i mercati, i costumi, le feste e i teatri popolari oppure verso avvenimenti come mostre, esposizioni, eruzioni e terremoti. Nel ricercare dei nuovi soggetti non si sottrassero volti o atteggiamenti ritenuti, a torto o a ragione, “l’espressione viva” della popolazione locale. Straccioni, sfaccendati, individui laidi e sporchi, considerati caratteristici e interessanti dal gusto dei turisti, furono i soggetti privilegiati che andarono ad alimentare l’immagine di una Napoli deteriore, lurida e cenciosa.
Imprenditori, commercianti e negozianti compresero immediatamente le grandi possibilità offerte dalla cartolina e il suo utilizzo come mezzo pubblicitario fu sfruttato, in primis, dai proprietari di alberghi, di ristoranti, di grandi magazzini e dei negozi più accreditati, seguiti, a loro volta, dagli industriali, dai rappresentanti e perfino dagli antiquari e dalle cliniche private. Grazie a loro, ci è stata offerta un’altra immagine della Napoli del passato.
Il diffondersi prepotente di queste piccole opere portò progressivamente alla scomparsa delle foto a uso e consumo del viaggiatore. La morte degli ultimi fotografi dell’Ottocento, come Giorgio Sommer e Michele Amodio, con la conseguente chiusura dei loro rinomati studi nei primi decenni del Novecento, segnò la vera e propria fine di un’epoca. Da quel momento i fotografi si dedicarono al ritratto, ai servizi di attualità per giornali e riviste, e a soddisfare la domanda degli editori di cartoline. Il loro posto fu preso da chi, per pochi centesimi, offriva, in albumini “a soffietto”, le nuove vedute della città e delle sue vicinanze.
Tante furono le “riprese” italiane protagoniste delle cartoline: il Duomo di Milano, il Colosseo, il Ponte Vecchio a Firenze, Piazza San Marco a Venezia. A Napoli, invece, ci fu l’imbarazzo della scelta, anche se a fare “la parte del leone” fu il Vesuvio infuocato che sovrasta il golfo.
L’unico problema che gli editori riscontrarono nel capoluogo campano fu quello della “colorazione di fotografie”, i cui originali erano prodotti rigorosamente in bianco e nero. In quegli anni, però, il mestiere del coloratore era tutt’altro che raro. Inoltre, questi, ben presto denominati cromisti, godevano nella città partenopea di un invidiabile destino. Il primo rotocalco edito in Italia – e in assoluto, il primo a colori del mondo – fu il settimanale napoletano Il Mattino Illustrato, il quale, fra i tardi anni Trenta e i primi anni Quaranta del Novecento, decise di alternare in copertina le tavole disegnate da Ugo Matania con fotografie di attualità, commissionate proprio ad alcuni cromisti, bravissimi perfino nell’incipriare di rosa il volto del Duce.
L’età d’oro della cartolina partenopea va individuata, quindi, tra la fine del secolo XIX e l’inizio del nuovo ventennio (1898 – 1930), con un percorso legato ai topoi della tradizione iconografico-monumentale dell’arte di ambientazione urbana. Si privilegiarono, difatti, il lungo fronte storico da mare con le emergenze architettoniche, il porto e la lanterna, il Castel Nuovo e il Castel dell’Ovo, fino al centro abitato visto dall’alto con il panorama del Vesuvio, o ancora l’esaltazione del paesaggio marittimo di Posillipo, le strade gradinate e i vicoli stretti del centro, le abitazioni multipiano della Napoli mercantile, le piazze storiche come Piazza del Plebiscito, Piazza del Mercato e Piazza Municipio. Di grande fascino furono anche la marina di S. Lucia, la Riviera di Chiaia con il nuovo lungomare, il porticciolo di Mergellina e l’isolotto di Nisida fino alle vedute del territorio Flegreo.
Un’immagine del “pittoresco” napoletano si rispecchia perfettamente nelle parole di Matilde Serao: “Alla mattina, se avete il sonno leggiero, fra i tanti rumori napoletani, udirete uno scampanio in cadenza, che ora tace, ora ricomincia dopo breve intervallo […] Sono le vacche che vanno in giro per un paio d’ore, condotte, ognuna, da un vaccaro sudicio, per mezzo di una fune. […] Queste vacche si fermano innanzi a ogni porta […] il vaccaro grida forte: “Acalate ’o panaro”; se non sentono, batte forte il campanaccio della vacca. […] L’altro lato del quadro è nel pomeriggio; dalle quattro alle sei, uno scampanellio acuto e fitto: sono le mandrie di capre che scorazzano […] In tutte le città civili, queste mandrie di bestie utili ma sporche e puzzolenti, queste vacche non si vedono per le vie […] A Napoli no: è troppo pittoresco il costume, per abolirlo. Nessun municipio osa farlo. […] Un’altra cosa molto pittoresca è il sequestro delle strade, fatto per opera dei piccoli bottegai o dei rivenditori ambulanti. Che quadri di colore acceso, vivo, cangiante, che bella e grande festa degli occhi, che descrizione potente e carnosa, potrebbero ispirare a uno dei moderni sperimentali, troppo preoccupati all’ambiente! […] Nulla di più pittoresco che la strada di Santa Lucia, di esclusiva proprietà dei signori pescatori e marinai, intrecciatori di nasse e venditori di ostriche; nonché delle loro signori mogli, venditrici di acqua sulfurea e di ciambellette, cucinatrici di polipi e friggitrici di peperoni; nonché dei loro signori figliuoli, in numero indefinito, nudi e bruni come il bronzo.”