C’è, forse, un solo sport capace di raccogliere pubblico dalle Alpi alle rive della Costa Azzurra nel corso della stessa gara, di svolgersi in uno stadio grande quanto un’intera nazione, senza curve o tribune, solo la strada, dove il biglietto è gratuito per tutti: è il ciclismo, la disciplina più democratica che esista, sia per i professionisti che per il suo pubblico, e la bicicletta è la grande protagonista.
Fatica umile, di gamba – o ce l’hai o vai giù, lontano dalle vette e dalla classifica – il ciclismo unisce milioni di appassionati, soprattutto in questo periodo dell’anno, quando per le città della Francia sfrecciano le biciclette dei corridori iscritti alla corsa a tappe più bella del mondo, il Tour de France.
La Grande Boucle, giunta all’edizione numero 109, ha salutato domenica scorsa l’arrivo delle squadre nella meravigliosa cornice della capitale, Parigi, sul rettilineo degli Champs-Élysées, a due passi dall’Arco di Trionfo. A scrivere il proprio nome sul trofeo più prestigioso del ciclismo mondiale è stato il danese Jonas Vingegaard, autore di una memorabile cronoscalata sulle pendici del Monte Bianco, a Combloux, durante la quale ha staccato irrimediabilmente il rivale Tadej Pogačar, regalandosi la passerella finale vestito del giallo del Tour.
Mezzo ecologico per eccellenza, amato da professionisti e semplici appassionati di tutte le età, la bicicletta è la vera protagonista della corsa a tappe che, quest’anno, ha regalato al ciclismo il nome di un nuovo fenomeno che – c’è da starne certi – resterà nelle pagine della storia del ciclismo a lungo. Chi segue Mar dei Sargassi, però, sa che quando questo giornale si spinge a parlare di sport c’è sotto qualche storia di carattere sociale o letterario che vuole venire fuori.
In questo caso, il trionfo del corridore danese è il miglior pretesto possibile per parlare proprio del mezzo, raccontato magistralmente dalla casa editrice italiana delle due ruote: Ediciclo. Il volume si intitola Alle origini della bicicletta ed è a opera di Alfredo Azzini. Si tratta di un vero e proprio gioiello di letteratura che scava nella storia delle due ruote, scandagliando la linea del tempo dell’evoluzione tecnica della bicicletta.
Curato nei minimi dettagli, con il testo disposto su doppia colonna e fotografie che attraversano le centinaia di anni d’evoluzione del mezzo a dar prestigio all’intero volume, il libro è un oggetto prezioso tanto quanto il mezzo che si propone di raccontare. Persino la carta adoperata dalla casa editrice e la rilegatura lo rendono un vero e proprio pezzo da collezione.
E, chissà, non è un caso se il primo velocipede sfrecciò lungo le strade della capitale francese nel 1860 e, oggi, vive una terza giovinezza grazie all’esposizione mediatica della sfida tra i fenomeni in scena alla Grande Boucle. Da dove viene la bicicletta e come arriva in Italia, dove la sua produzione si sviluppò per la prima volta a Milano? In che modo ruote e pedali si intrecciano con la storia politica e sociale del Paese? Queste e tante altre sono le domande a cui Alle origini della bicicletta tenta di dare risposta, smontando il mezzo più affascinante di tutti i tempi in ogni singolo ingranaggio, mostrando al lettore gli aspetti evolutivi che hanno portato alle due ruote che, ancora oggi, tutti amiamo.
È dall’alba del secondo dopoguerra che manca, in Italia, un approfondimento della storia della bicicletta aggiornato con tutte le più moderne ricerche svolte a livello mondiale. Il progetto editoriale di Alfredo Azzini, che viene proposto in due volumi – il primo, dedicato all’evoluzione tecnica; il secondo, dedicato all’evoluzione sociale e sportiva –, finalmente colma questa lacuna storica.