Come al solito, le donne rischiano di essere dimenticate oppure cancellate più facilmente degli uomini a cui si tributano mostre e appuntamenti, che vengono rinnovati di anno in anno. Pur avendo sostenuto tre esami di storia dell’arte all’Università Federico II di Napoli, il numero degli artisti che ho studiato è stato di gran lunga maggiore di quello delle artiste e, anche riguardo al Novecento, l’oblio registrato nei manuali liceali e universitari è ugualmente drammatico. Per tale motivo ho conosciuto la produzione di Hannah Höch e di tante fantastiche artiste molto tardi.
Appena guardi anche una sola delle sue opere, emerge in modo esplosivo la carica sovversiva del suo linguaggio artistico. Hannah Höch fece parte del gruppo Dada di Berlino, movimento legato alle avanguardie storiche, ma la ricostruzione storico-artistica del movimento la lasciò in secondo piano. Perché era donna? Perché era lesbica? Come succede alle donne escluse, non è mai una dichiarazione esplicitata ma una strategia subdola di cancellazione e annientamento della loro esistenza.
In Germania Hanna Höch fu maggiormente conosciuta per il lavoro prodotto durante la Repubblica di Weimar. Considerata una delle più grandi artiste di collage del ventesimo secolo, pioniera esperta e rivoluzionaria della tecnica del fotomontaggio, frequentò assiduamente la galleriaDer Sturm di Herwarth Walden, con Johannes Baader, Mehring, Huelsenbeck, Grosz, Heartfield e Raoul Hausmann.
Hannah Höch è il nome d’arte di Anna Therese Johanne Höch, nata nel 1889 a Gotha, in Germania. Cresciuta in una famiglia della media borghesia, nel 1912 si iscrisse alla scuola di arti applicate di Charlottenburg, a Berlino, con il desiderio di diventare pittrice, ma scelse poi di seguire l’indirizzo in arti grafiche invece che belle arti per accontentare il padre. Nel 1915 iniziò una relazione con Raoul Hausmann, un membro del gruppo Dada di Berlino.
Il suo coinvolgimento nel gruppo Dada ebbe inizio nel 1917 e in quel periodo entrò anche in contatto con gli espressionisti tedeschi e i futuristi italiani. Höch iniziò a dipingere ma poi preferì dedicarsi soprattutto alla sperimentazione con vari materiali, fotomontaggi con immagini prevalentemente di donne e di oggetti etnografici. Riuscì a combinare in un modo originale e corrosivo immagini di pubblicazioni popolari, usando tecniche di collage, pittura e fotografia.
Hannah Höch, già allora considerata femminista dissacrante e provocatoria, cercò di far emergere il suo particolare punto di vista in ogni opera. Il movimento Dada aveva un profilo anarchico e anti-conformista ed era composto principalmente da uomini: Hannah costituiva un’eccezione. Höch affermava con forza la propria emancipazione dalla figura maschile, criticando umoristicamente l’idea della “donna nuova”, come in Indische Tänzerin: Aus einem ethnographischen Museum, dove mise insieme le immagini di una maschera tribale con la fotografia della star del cinema muto Maria Falconetti, rappresentando così l’incapacità di una donna di esprimere la sua voce e tutto il dolore che provava.
Le sue opere erano cariche di una forte critica sociale verso la Repubblica di Weimar. Una delle più famose, Cut With the Kitchen Knife Dada Through the Last Weimar Beer-Belly Cultural Epoch of Germany, ritrae politici tedeschi in contrasto con gli uomini del gruppo Dada. Anche l’idea di bellezza femminile fu presa di mira dall’artista. Il suo tema di fondo era la costruzione dell’identità della donna e la critica alla logica violenta del patriarcato. Assurdi e scomposti erano i soggetti delle sue opere, con esiti volutamente ironici e destabilizzanti. In seguito mise insieme modelli di prodotti artigianali, fotografie di parti meccaniche, ritratti, disegni di bambini e citazioni di diversi autori, cercando una certa armonia nella composizione stilistica.
Le guerre e le crisi economiche condizionarono il suo immaginario iconografico e partecipò con ardore alla militanza politica del gruppo Dada, comunità artistica altamente politicizzata, antimilitarista e pacifista, comunista nelle idealità pronunciate e anarchica negli slogan.
Durante il regime nazista Hannah Höch si ritirò in una villa a Berlino, cercando di rimanere fuori dalla vita culturale della città. Espose le sue opere all’estero, continuando a sviluppare la tecnica del fotomontaggio. Realizzò inoltre l’archivio dell’opera dei dadaisti, importante operazione che permise di riscoprire il lavoro del gruppo dopo la Seconda guerra mondiale. Diventò famosa nel 1971, con le prestigiose mostre all’Accademia di Belle Arti di Berlino e nel 1976 al Musée d’Art Moderne de la Ville de Paris e alla Nationalgalerie Berlin.
Dopo la sua morte, nel 1978, i movimenti femministi hanno iniziato a valorizzare la complessa opera di Hannah Höch, le sue connessioni tra arte e politica, la sua sottile critica agli stereotipi di genere, che mortificano e imprigionano le donne. La sua ricerca verbo-visuale sintetizza con un’effervescenza creativa dirompente il suo sguardo sul mondo. I suoi collages infatti miscelano la simbologia della cultura di massa, formando nuovi ideogrammi che prendono ispirazione dalla civiltà dell’immagine.
Il collage decostruisce il linguaggio e destruttura l’immagine. L’universo massmediale viene frammentato in sintagmi allontanati dal consumo commerciale dell’oggetto. Immagini pubblicitarie, giornali e altra materia vengono scomposti e ricomposti per seguire una visione altra, divergente e originale, libera dalla logica del mercato. Caratteri, punteggiatura, spazi e colori sono usati fuori dal loro contesto usuale. Il significato diventa significante, ogni simbolo si contamina con altri paradigmi culturali. Si attua un cortocircuito espressivo e destabilizzante. Libera ogni soggetto e ogni corpo dall’uso commerciale a cui viene piegato. Anche il corpo della donna è liberato dalla cornice pubblicitaria da cui viene strappato. L’arte del collage permette di creare uno spazio diverso, alternativo, legge e libera il corpo della donna fuori dalla logica del consumo e dell’oggettivazione.
Assemblare, adattare fotografie e ritagli di riviste illustrate, manipolare negativi fotografici e carte di ogni spessore, tagliare e strappare, incollare e cucire, usare quindi materiale di scarto, propriamente inutile e riciclabile per inventare “visioni poetiche” che sconcertano chi guarda.
La generazione Dada aveva la consapevolezza estrema della forza scandalistica della loro arte, la ricerca artistica era la loro arma di protesta e di rivendicazione pacifista e anticapitalista contro il messaggio bellicista e nazionalista di quell’epoca. Il mercato ha da tempo utilizzato l’ingegnosa macchina dadaista e futurista per disegnare le sue pubblicità. Il consumatore massmediale contemporaneo accetta tutto e il contrario di tutto in una soporifera ricezione domestica. Nessuna percezione rivoluzionaria è sopravvissuta ma rimane la coscienza drammatica di uno scollamento irrimediabile tra l’uomo e la natura, tra gli umani e la terra, tra le metropoli e la civiltà del passato.
Immagine in copertina di Dietmar Bührer (de:Dietmar Bührer), CC BY-SA 4.0, via Wikimedia Commons (Hannah_Höch_1974)