La scorsa settimana il calciomercato delle squadre di Serie A è entrato ufficialmente nel vivo. In particolare, chi – come me – è legato ai colori nerazzurri ha dovuto digerire (malvolentieri) la partenza di Marcelo Brozović verso l’Arabia Saudita, tuttavia quella del centrocampista croato è solo l’ultima delle grandi cessioni che i club europei hanno compiuto verso le formazioni mediorientali, trasferimenti multimilionari a cui tutti, improvvisamente, sembrano non poter dire di no, club e e calciatori.
Con l’estate 2023 e il boom del calcio d’Arabia, il mondo del pallone è destinato, di fatto, a cambiare la propria natura, uno sport che rimpiazza le emozioni e lo spirito della competizione con l’unico scopo del denaro. Legittimo, ma quali sono le regole?
Che i grandi eventi sportivi siano, perlopiù, legati a condizioni economiche difficilmente comprensibili al pubblico che fruisce di quei contenuti è un qualcosa che l’utente ha imparato ad accettare ormai da diversi anni. Tuttavia, lo strapotere economico di alcune proprietà del calcio, come del basket, o di qualsiasi altra disciplina, non avevano ancora minato alla passione che l’affacciarsi della domenica era in grado di generare tra i tifosi.
L’ingresso dei grandi fondi economici nel calcio, e prima nella Formula 1, invece, sta riscrivendo le regole a cui lo sport abitua il pubblico sin da bambini. Questione di business, altissima finanza, e così il prodotto viene venduto laddove qualcuno è in grado di strapagarlo, un po’ come quando l’Europa importava gli animali esotici per esporli negli zoo e nei circhi del continente sin dall’avvento del Cristianesimo.
Dunque, perché nati su giacimenti interminabili di petrolio, arabi e sauditi non hanno diritto a godere delle prestazioni dei migliori calciatori del mondo, così come di veder sfrecciare le Formula 1 nel deserto? Certo che sì! Il punto è garantire le stesse regole a tutti, altrimenti quella concorrenza diventa sleale e l’unico risultato che vi si ottiene è un intrattenimento che sostituisce coccodrilli e leoni con calciatori e piloti.
Quello d’Arabia – così come qualche anno prima in Cina – va configurandosi non come un campionato alternativo agli storici tornei del Vecchio Continente, ma come un eterno All Star Game, un campionato d’esibizione dei migliori talenti globali senza l’incentivo del risultato, una drammatica sostituzione dello show sulla competizione che banalizza il contenuto e lo appiattisce verso la mediocrità.
Ricordate il celebre animation-movie del 1996, Space Jam, in cui la stella della NBA, Michael Jordan, veniva contesa tra i Looney Tunes e gli alieni Monstars? Non importa se l’intrattenimento è mediocre, purché sia pirotecnico, proprio come quando il capo dei mostriciattoli che minavano al futuro di Bugs Bunny e compagni minacciava MJ di portarlo a Moron Mountain a giocare contro i loro bambini, perdere sempre e firmare autografi dalla mattina alla sera.
Quando il valore di quello spettacolo avrà perso ogni senso di esistere, finiti i palleggi, le curve a 300 km/h, cosa ci spingerà ancora verso quel prodotto anziché alla ricerca di un altro?
Io non so chi si diverte con i leoni e i coccodrilli, così come non mi entusiasma l’idea di calciatori in ciabatte e piloti lanciati su piste dove non si può sorpassare e gli penumatici soffrono le alte temperature ma, quando all’intrattenimento si sottrae la competizione, cosa resta in quell’appiattimento? Qual è il punto di non ritorno?
Questo articolo punta il proprio focus sul mondo dello sport, ma il criterio è estendibile a qualsiasi aspetto, ormai, della nostra vita. Non ne siete sicuri? Facciamo un test: chi non accelera i vocali su WhatsApp o apre una nuova pagina web mentre il video selezionato si apre con 14 secondi di pubblicità prima dello skip? Di quale stimolo ha bisogno il nostro cervello per non poter attendere quel breve lasso di tempo?
Stesso discorso vale per la corsa dei musei di tutto mondo all’esperienza 3D, ma siamo davvero sicuri che visitare virtualmente il Louvre sarà bello come prendere un aereo, sbarcare a Parigi, camminare per gli Champs-Élysée e varcare la famosa piramide alla ricerca della sala che conserva la Gioconda?
La risposta a un’eventuale problema di accessibilità al privilegio di poter viaggiare non è – a nostro parere – nel proporre una soluzione farlocca, ma lottare affinché si riducano le distanze sociali tra chi può permettersi di impacchettare il calcio e portarselo a domicilio e chi non può sognare una visita al principale museo di Francia.
Quale sarà la prossima frontiera di questo intrattenimento a tutti i costi? E, una volta ottenuta, cosa ci ecciterà?