È un inizio d’estate, questo, che non può definirsi affatto noioso in quanto a notizie che, pur non rappresentando alcun elemento di novità, continuano ad alimentare morbosa curiosità e a offuscare memoria e preoccupazione di un’opinione pubblica sempre più indifferente a una guerra costata finora oltre 65mila vite umane e alla quale – è bene ribadirlo – siamo partecipi perché schierati. Un conflitto alimentato da armi sofisticate, e sempre più pericolose, con l’impiego di risorse sottratte ad altri capitoli di spesa, nonostante la Presidente del Consiglio si sforzi di convincerci del contrario.
Ma a distrarre l’attenzione contribuisce, come per tradizione, una classe politica che, se non fosse per un giornalismo di inchiesta che ancora riesce a sopravvivere nonostante i continui tentativi di imbavagliamento e minacce di stampo politico-mafioso che costringono coraggiosi colleghi a vivere sotto scorta, non riusciremmo a comprendere fino in fondo di che pasta è fatta. Una rappresentanza che arriva a negare ogni evidenza persino in aula parlamentare tra gli applausi dei propri.
C’è voluto, come nel caso della Ministra del Turismo, un chiarimento della procura di Milano per confermare che Daniela Santanché risulta indagata con altri da ben otto mesi. Giorgia Meloni anche questa volta, come nel caso del Sottosegretario alla Giustizia Del Mastro, pare non ritenga necessario chiedere le dimissioni di un esponente del governo e del suo partito.
A tenere vivo il teatrino della politica da baraccone non poteva mancare, poi, il Sottosegretario alla Cultura Vittorio Sgarbi che al Maxxi di Roma ha messo in scena uno squallido siparietto sessista con dovizia di particolari di organi maschili e femminili in stile osteria della peggiore specie. Anche per questo episodio, però, a parte la semplice e sola presa di distanza del Ministro Sangiuliano, tutto tace, tutto normale come, del resto, è normalità da circa trent’anni, conformemente a quel berlusconismo che attraverso la politica, le televisioni e le allegre brigate ha profondamente contribuito al deterioramento morale e sociale del Paese.
Un’idea di società ereditata attraverso quel testamento scritto nel 1994, ben prima del documento reso noto da poco che riguarda i milioni distribuiti in famiglia, alla finta moglie già omaggiata con un seggio parlamentare (maggiore assenteista assieme al finto marito) e un debito nei confronti di chi ha gestito e pagato in silenzio sin dall’inizio i rapporti con il mondo malavitoso siciliano.
Quest’ultimo gesto, in continuità con tutta la sua azione politica, è una vera e propria eredità lasciata agli oltre cinquantanove milioni di italiani portati sul lastrico al punto da costringere l’allora Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano a richiedere le dimissioni per scongiurare una crisi senza ritorno. E, giusto per rinfrescare la memoria, gran parte dei componenti di quell’esecutivo oggi formano il governo con a capo l’ex Ministra della Gioventù.
Un testamento, quello del fondatore di Forza Italia, che una parte del Paese ha contribuito a sostenere, accettare e pagare affidando le proprie sorti alle forze politiche in continuità con il berlusconismo ma con le dovute differenze di comodo. I prossimi mesi saranno il banco di prova con l’autonomia differenziata che quella Lega al governo sdoganata proprio dall’ex Cavaliere vuole a tutti i costi e che potrebbe con ogni probabilità cambiare i rapporti di forza nella maggioranza fino a mettere in crisi l’esecutivo a guida Meloni.
Non sarà di certo un problema insediare il sessantanovesimo governo dalla nascita della Repubblica ma, purtroppo, nulla potrà modificare il contenuto di quella successione testamentaria in mancanza di un rinnovamento radicale della classe dirigente, del recupero dei valori fondanti della Costituzione e di quei principi etici indispensabili in un Paese civile. Non sono più tollerabili figure istituzionali di primo piano che in sfregio alla magistratura emettono sentenza in difesa del proprio figlio accusato di stupro, magari giurando sul busto del Duce gelosamente custodito in casa, il tutto assicurando di aver espletato ogni indagine emettendo anche un comunicato ufficiale.
Un Paese, il nostro, che continua a tacere non solo su una guerra in corso ma anche sulle disuguaglianze, sulla soppressione del reddito di cittadinanza che sembra aver riattivato la mano d’opera a buon mercato, sugli aumenti indiscriminati e ingiustificati di tutti i prodotti, silenzio anche sul ripristino dei vitalizi per gli ex senatori.
L’accettazione di una eredità che ci si augura possa essere impugnata prima o poi da quanti ancora credono nella possibilità di riscatto e di recupero di una onestà morale e intellettuale senza la quale ogni cosa continuerà a sopravvivere fin quando possibile. Tornano alla mente, per l’occasione, alcuni versi de Il testamento, canzone scritta giusto sessant’anni fa da Fabrizio de André:
Quando la morte mi chiamerà
Forse qualcuno protesterà
Dopo aver letto nel testamento
Quel che gli lascio in eredità
Non maleditemi non serve a niente
Tanto all’inferno ci sarò già
……………………….
Sorella morte lasciami il tempo
Di terminare il mio testamento
Lasciami il tempo di salutare
Di riverire di ringraziare
Tutti gli artefici del girotondo
Intorno al letto di un moribondo