Qualche mese fa mi è capitato di guardare un film di Mario Martone dal titolo Capri-Revolution (2018) che descrive in modo profondamente poetico un’isola dal volto sconosciuto, quello di luogo brullo e quasi disabitato su cui si riunì, alla vigilia della Prima guerra mondiale, una comune di artisti nordeuropei hippy.
Non sono mai stata a Capri, ma la sua immagine rimanda ai miei occhi l’idea di un’isola esclusiva, raffinata, ormai iper turistica e internazionale. Il film di Martone torna indietro a un momento storico in cui tutto ciò non si verificava, rappresentandola come un paradiso incontaminato, casa di pochissime persone elette che, spesso, nemmeno erano consapevoli della propria fortuna. Due facce della stessa medaglia, dunque: una Capri moderna e vip e una Capri antica e rurale. Ma esiste una terza narrazione che, come ho avuto modo di scoprire leggendo A Napoli con Raffaele La Capria di Michela Monferrini, edito da Giulio Perrone Editore, racconta Capri come rifugio d’elezione di alcune personalità facoltose e omosessuali che, a causa della loro natura, non potevano più vivere a casa propria.
Ma perché proprio Capri? Tra Ottocento e Novecento, Capri aveva infatti cominciato a chiamare a sé, forse anche per via delle antichissime dicerie sulla vita libertina dell’imperatore Tiberio (che con Augusto aveva probabilmente trasformato l’isola in un complesso di dodici ville tra loro collegate), diversi intellettuali, artisti, scrittori omosessuali che, in fuga dai propri paesi per aver sollevato scandalo, raggiungevano un luogo in cui vivere più liberamente. Non era raro, come sottolineava La Capria, trovare famiglie capresi liete del fatto che un loro figlio – spesso appena adolescente – si accompagnasse a qualcuno di questi maturi signori, istruiti, benestanti, eleganti. (pag. 114, A Napoli con Raffaele La Capria, Michela Monferrini)
Tiberio fu secondo imperatore di Roma, succeduto al trono dopo la morte del predecessore Augusto. A un certo punto della sua vita, addolorato per la scomparsa del figlio ed esasperato dall’ostilità dei Romani nei suoi confronti (si può dire non sia stato un regnante idoneo al suo ruolo) preferirà auto-isolarsi a Capri in una lussuosissima dimora chiamata Villa Jovis (di cui ora restano le fondamenta impressionanti).
Fu Svetonio a dirci che questo edificio era parte di un complesso interconnesso di dodici ville. Si narra che in questi luoghi Tiberio conducesse una vita sessuale perversa e indecente. Vorrei però sottolineare una questione molto importante: nell’antica Grecia e nell’antica Roma, la pederastia era tollerata, se non incoraggiata, quando aveva matrice pedagogica e il rapporto si consumava tra un uomo adulto ricco e un giovane che gli faceva da “allievo”. Di fatto, l’omosessualità attiva veniva vista come segno di estrema virilità nella figura del “romano perfetto”. Insomma, Tiberio a Capri si circondò di giovanissimi ragazzi del luogo, intrecciando numerosi rapporti omosessuali.
Facendo un bel salto in avanti fino ad arrivare all’Ottocento, sappiamo che l’Italia in generale fu meta di turismo omosessuale in quel periodo (uno dei motivi era che l’omosessualità, a differenza del resto dell’Europa, in Italia non rappresentava più reato dal 1889). Taormina, Roma, Firenze e Venezia erano luoghi molto famosi per l’élite facoltosa europea composta da uomini nati ricchi, istruiti e piuttosto libertini, ma Capri si distinse per alcune ragioni molto specifiche: era vicina a Napoli, capitale di ricchezza e fermento culturale; era un’isola e dunque offriva tutta la privacy possibile; ovviamente si trattava di un paradiso naturalistico impagabile; infine, era abitata da famiglie poverissime, quindi facilmente disposte a scendere a compromessi con la speranza di un miglioramento di condizioni economiche.
Gli amanti indigeni dei ricchi artisti e intellettuali che giungevano sull’isola erano infatti figli di pescatori, contadini, caprai; di certo la progenie degli isolani più facoltosi, possidenti terreni e commercianti, tollerava questo flusso di turisti sessuali chiudendo un occhio, ma non cedeva i propri figli.
Si trattava di una dimensione spiccatamente di classe, come avveniva nell’antica Grecia e nell’antica Roma: la popolazione locale si piegava alle “perversioni” dei ricchi forestieri, dunque si ripeteva la situazione-tipo che vedeva coinvolti nella relazione omosessuale l’uomo adulto ricco e il ragazzo giovane povero, però con discrezione, in una condizione di promiscuità che “si faceva, ma non si diceva”. Nel caso in cui venisse a mancare l’elemento forte, ovvero il “daddy” facoltoso, i giovani capresi non erano accettati: o ci si sposava per riparare lo scuorno o si doveva abbandonare l’isola, per la grande vergogna della famiglia.
Eugenio Zito, antropologo e ricercatore dell’Università Federico II di Napoli, a questo proposito scrive: Molti vollero “mediterraneizzarsi” in una sorta di naturalismo pagano dalle molteplici espressioni anche sessuali, costituendo un contesto antropologico unico dove si intersecarono pure alcune espressioni della cultura e dell’arte otto-novecentesca. Così una variegata folla di “uranisti” e “amazzoni” trasformò Capri in un mito anche per la rappresentazione culturale dell’omosessualità soprattutto maschile.
Uranisti e amazzoni: il primo termine designava gli uomini omosessuali passivi, mentre il secondo, probabilmente per associazione con le più famose amazzoni guerriere, le donne lesbiche. Tra queste ultime, nel testo I peccati di Capri di Alberto Ciuni, si nominano la pittrice Romaine Brooks, l’editrice statunitense Sylvia Beach, la scrittrice Natalie Barney e, tra le altre, persino Greta Garbo.
Invece tra i protagonisti celebri maschili Michela Monferrini ricorda il barone Jacques Fersen, il responsabile della costruzione della splendida Villa Lysis, ubicata tuttora accanto alle rovine della villa di Tiberio, nella quale conduceva una vita in un’atmosfera di decadentismo alla Des Esseintes, satura di un opprimente e stucchevole narcisismo, tra cerimoniali, oppio, riti e miti; lo scrittore inglese Norman Douglas, che morirà suicida a Capri nel febbraio del 1955; l’imprenditore tedesco Friederich Alfred Krupp, altro suicida e famoso per aver dato il nome alla famosissima serpentina di Via Krupp; il pittore tedesco Allers; Oscar Wilde insieme al suo amante Alfred Douglas; Jean Cocteau e molti altri.
Si può quasi dire che Capri fosse la Mykonos o la Ibiza di quel tempo, a voler forzare la mano, ma le implicazioni morali di un tale pellegrinaggio sono piuttosto conflittuali. Ciò che è interessante scoprire è questa narrazione poco battuta, una pagina della storia caprese quasi sconosciuta, laddove si preferisce parlare dell’isola o in termini estatici o in termini cinematografici che hanno contribuito al suo mito (come nel caso di Martone, anche se il regista la rappresenta prima dell’avvento del jet set internazionale; di Comencini con L’imperatore di Capri, 1949; di Godard con Il disprezzo, 1963; di Shavelson con La baia di Napoli, 1960(.
Per chi volesse approfondire il tema, lascio qui alcune delle fonti consultate:
– Fausto Esposito, Pudore caprese. Cinque casi giudiziari a Capri, La conchiglia, 2009.
– Roberto Ciuni, I peccati di Capri, Longanesi, 1998.
– Eugenio Zito, Era di pietra la sua bellezza. Capri, mitografia di un luogo, “EtnoAntropologia”, IV (2) 2016.
– Claudio Gargano, Capri pagana. Uranisti e amazzoni tra Ottocento e Novecento. Ediz. illustrata, La Conchiglia, 2007.
– Michela Monferrini, A Napoli con Raffaele La Capria. Un percorso acquatico, Giulio Perrone Editore, 2023.
– Huw Limmey, Ben Miller, Bag Gays, Crudeli e spietati: una storia omosessuale, Il Saggiatore, 2023.