Spalancate le porte del Duomo di Milano, come si conviene a caste privilegiate con licenza di trasgressione e ogni sorta di bestemmia purché giustificata dal contesto – come, a seguito delle sue abituali barzellette da osteria, ebbe a difendere l’ex Cavaliere niente di meno che sua eminenza Fisichella. Porte severamente chiuse a divorziati e fuori dalla famiglia tradizionale (a cui è negata anche l’eucarestia), ma aperte a una discutibile e poco opportuna omelia dell’arcivescovo di Milano, cardinale Mario Delpini, con l’esaltazione del godimento del bello e dell’amore per le feste, omettendo di quali feste e di quale amore si sia trattato. berlusconi
Terminata la cerimonia dell’ipocrisia, chiuse le porte del tempio e aperte quelle del luogo dove le uniche differenze sono limitate a semplici loculi, piccole cappelle o mausolei. Si conclude l’unico tempo dell’assoluta uguaglianza, quel trapasso che ciascuno interpreta secondo le proprie convinzioni ma con un finale assolutamente garantito e uguale per tutti.
Conclusa la fase terrena dell’uomo, resta quella che il teologo Vito Mancuso ha definito l’infezione della coscienza morale, il berlusconismo: la fine plateale del primato dell’etica e il trionfo del primato del successo. Successo attestato mediante la certificazione dell’applauso e del conseguente inarrestabile guadagno. Il berlusconismo ha di fatto affossato nella mente della gran parte degli italiani il valore della cultura, riducendo tutto a spettacolo, a divertimento, a simpatia falsa e spudoratamente superficiale, a seduzione.
Facciamo l’uomo a nostra immagine, a nostra somiglianza sono le parole di Dio trascritte nella Genesi 1,26 che l’uomo di Arcore ben recepì e tradusse a proprio uso e consumo da buon conoscitore qual era di larga parte degli abitanti di questa bella Italia difficile da definire popolo. Un’infezione dura a guarire dopo quasi tre decenni in cui il degrado morale, sociale e politico ha raschiato il fondo, dove la vergogna resta parola senza senso.
A nulla vale elencare quelli che per una considerevole parte di italiani sono stati meriti o persecuzioni. Inutile ricordare prescrizioni, amnistie e finanche sentenze che hanno etichettato Berlusconi delinquente abituale. Le bugie ratificate persino con un voto parlamentare, come nel caso della nipote dell’ex presidente egiziano Mubarak, voto anche di quanti oggi hanno la guida del Paese. Condannato in via definitiva a quattro anni per frode fiscale, tanto che il 2 agosto del 2013 il settimanale L’Espresso titolò: Adesso Berlusconi è un pregiudicato.
Governi dell’allegra compagnia fatti di leggi ad personam, feste e festini, governi sorti non a caso ma con il voto democratico di quanti contaminati hanno partecipato al banchetto mediatico, a un’informazione asservita che ancora tiene le fila tra carta stampata, televisioni e masserie trasformate nella quarta Camera della Repubblica con un posto ben saldo nella tv di Stato e compiacente al potente di turno.
Un Parlamento fermo per ben sette giorni in segno di lutto, quel lutto imposto contro ogni regola che non fu riservato neanche ai martiri trucidati per mano di una mafia assassina che ancora nasconde segreti sui rapporti con lo Stato che abilmente ha messo fuori gioco quella magistratura onesta a cui ormai son ben chiari i contorni di un sistema corrotto e colluso.
L’uomo di Arcore dalle indiscusse qualità imprenditoriali ma dagli oscuri finanziamenti per niente sconosciuti alla magistratura, uomini fidati che hanno accettato la galera nel silenzio senza mai coinvolgerlo, il tutto rientrante in quella infezione di cui parla Mancuso, una realtà diventata sistema che tiene tutti tranquilli, meno quanti dovranno riposizionarsi. Sempre che non ci sia un colpo di scena che faccia spuntare dal cilindro qualche membro della dynasty per continuare a tutelare le aziende di famiglia, con la certezza che la politica tutta – anche quella sinistra soltanto nominale – continuerà a consentire ogni nefandezza sul solco tracciato dai D’Alema e Renzi e da quella parte contaminata di questo Paese sempre disponibile anche soltanto a stare a guardare, a battere le mani all’esterno dei tribunali, a raccogliere briciole.
Quelli trascorsi sono tra i peggiori giorni della seconda Repubblica, una fiera dell’ipocrisia che non ha risparmiato nessuno, una postulazione corale da destra a sinistra, passando per il centro, per una causa di santità senza uguali. Comprensibile quella da parte di quanti graziati da un padre padrone della politica ancora in vita, nullità assurte a cariche prestigiose nelle massime istituzioni nel silenzio o al massimo con una tiepida opposizione di quelle forze di un’inesistente sinistra complice di aver consentito lo stupro dei più elementari principi della Costituzione e di aver portato questa nazione nel baratro da cui la stessa cordata oggi al governo dovrebbe risollevarci. Il vecchio che si fa nuovo e che quanto prima dovrà fare i conti con inevitabili novelli equilibri e possibili incursioni da parte di quelle mine vaganti capaci di trasformare dal niente foschi orizzonti.
Lontani ormai i giorni delle corna e dei cucù, di quella culona della Merkel e del richiamo della Regina Elisabetta al G7. Delle risate dei conducenti di taxi nei miei tanti viaggi all’estero nell’apprendere la mia nazionalità: Berlusconi, ragazzine, bunga-bunga e provare sulla pelle la vergogna di essere italiano.
Non c’è che dire, tra le tante, la più grande qualità dell’uomo di Arcore è stata quella di plasmare una parte di questo Paese a sua immagine e somiglianza, una condizione che – va riconosciuto – non è affatto dispiaciuta ad attori e spettatori di una realtà durata tanto tempo, osannata anche in occasione del triste commiato da una Chiesa che non ci piace.