«Brexit è la cosa più maledetta che sia mai accaduta». A pronunciare queste parole senza appello (raccolte dal The Guardian) non è un rappresentante del partito laburista britannico, ma un anziano signore della contea di Lincolnshire, centro Inghilterra, laddove il voto a favore del Leave, nel 2016, aveva toccato punte del 75%.
A distanza di soli due anni dall’addio di Londra dall’Unione Europea, sono sempre più i cittadini britannici che si dicono pentiti della preferenza accordata al progetto di Theresa May e Boris Johnson. Proprio come nel Lincolnshire, anche i più strenui sostenitori della Brexit ora credono che la strada migliore per il futuro del Paese coincida con nuovi accordi che favoriscano i legami tra Westminster e Bruxelles.
Secondo un recente sondaggio condotto da Focaldata e Best For Britain, l’inversione di tendenza verso i rapporti che vorrebbero Londra intrattenere con il Vecchio Continente sarebbe assolutamente drammatica. Secondo il 65% dei britannici – si legge – il Leave ha prodotto molti più danni (economici e sociali) di quanti ne abbia risolti, di quanti venivano attribuiti al matrimonio tra il Regno Unito e la UE.
Così, il premier Rishi Sunak – anch’egli sostenitore della Brexit come via necessaria per il successo economico del Regno retto da Carlo III – ora si interroga sul da farsi. Il 53% della popolazione chiede al giovane inquilino di Downing Street nuovi ponti con Bruxelles e dei ritrovati accordi commerciali che consentano di frenare l’impennata dei costi e, incredibile a dirsi, la corsa all’immigrazione.
Già, perché da quando la Union Flag è stata ammainata nel cortile del Parlamento Europeo, gli expat che hanno preso residenza tra i confini UK sono persino aumentati. Nel 2022, sono stati oltre 600mila gli immigrati registrati a Londra e dintorni, record assoluto, nel 2021 quasi 500mila, tutto il contrario dunque di quanto le promesse di riprendersi i propri confini diffuse da May prima e da Johnson poi avevano lasciato intendere.
Non è, infatti, soltanto un ritrovato spirito comunitario a spingere gli inglesi sulla strada che porta all’Europa, ma anche – e soprattutto – la speranza di un flusso più gestibile di lavoratori (soprattutto dell’Est Europa) che cercano stabilità economica nella sterlina. La tensione, in UK, a proposito è molto alta, tanto che il Premier Sunak ha chiesto allo specialista delle frontiere repressive, Emmanuel Macron, consigli su come arginare il problema e, perché no, una mano in quel di Bruxelles sui prossimi tavoli delle trattative.
Secondo i britannici, un accesso più agevole ai visti lavorativi scoraggerebbe i tanti expat a cercare dimora fissa tra i confini dell’isola e consentirebbe agli approvvigionamenti necessari di calmierare l’incremento subito dei prezzi negli ultimi anni. Uno studio recente della London School of Economics ha dimostrato come le famiglie d’Inghilterra, Galles, Scozia e Irlanda del Nord abbiano pagato circa 7 miliardi in più per le importazioni di cibo a causa delle frontiere e dei dazi doganali voluti da BoJo.
Sono questi i costi della burocrazia voluta dal Brexit Party, una terribile inflazione che ha fatto perdere peso alla moneta più forte al mondo e potere d’acquisto ai suoi possessori, con le aziende britanniche rimaste inermi di fronte alla fuga dei grandi gruppi verso i paradisi fiscali irlandese o dell’Olanda e vittime degli inevitabili rincari inflitti al commercio.
Il partito dei Labour ha prontamente adoperato il sondaggio per attaccare le politiche criminali condotte dai conservatori in questi ultimi anni, eppure una rimonta elettorale che possa davvero garantire un’inversione di tendenza, e dunque un dialogo più felice con Bruxelles, pare ancora lontana.
Pagano le persone, come sempre. Pagano le grandi città che dai primi anni 2000 godevano di una crescita inarrestabile sul piano economico e sociale. Pagano le nazioni mai dome alla tirannia di Westmister, come la Scozia, mai tanto unita nel voler scucire la propria croce blu di Sant’Andrea dalla Union Flag. Pagano persino le contee come quella di Lincolnshire, illusa da politiche criminali e irresponsabili, politiche d’odio e ignoranza che hanno fatto leva sulle zone più povere. Pagano tutti, perché con i muri è così, c’è sempre chi resta fuori. I diritti innanzitutto, e quelli non hanno etnia o nazionalità.