“Noi siamo quello che facciamo. Scrivere è stata una necessità: non potevo farne a meno, e allo stesso tempo mi ha rovinato la vita”. Non sappiamo se Georges Simenon abbia mai pronunciato una frase come questa, di certo non stupirebbe leggere di tale sentenza tra le pagine di una fedele biografia o di un documentario del padre del commissario Jules Maigret. Lo scrittore belga è, di fatto, uno dei più prolifici autori di tutti i tempi. Nel corso della sua vita si contano circa quattrocento romanzi, una media di due manoscritti al mese per decenni: un utilizzo della penna così creativo e, al contempo, sapiente è sì una dote, ma può facilmente lambire i confini della maledizione.
Qual è il segreto dietro una produzione così feconda e numerosa? Qualsiasi lettore appassionato del narratore nativo di Liegi si è posto, negli anni, questa domanda. In pochi, però, hanno tentato di offrire una risposta. Gianluca Barbera, attraverso il suo ultimo romanzo pubblicato da Alessandro Polidoro Editore, Se il diavolo, indaga le ragioni della scrittura fiume di Simenon e propone una fantasiosa e audace soluzione: il demonio.
Ed è proprio durante un appuntamento con i lettori che Simenon, chissà, forse sfibrato dai risvolti di questo patto involontario stretto con la più malvagia delle entità, confessa: «Il diavolo l’ho incontrato!». L’artefice dell’incontro – nella ricostruzione dei fatti immaginata da Barbera – è un paziente di un manicomio a Saint-Nicolas, situato nei pressi dell’abitazione dei genitori. «Qui dentro ci tengo chiuso il diavolo. L’ho catturato in mezzo ai sassi. Lo vuoi vedere?», confessa all’autore. «Georges disse la voce… conosceva il mio nome, e già questo mi spaventò… Georges, so cosa sogni… Diventerai il più grande di tutti, diventerai un Dio in terra, ma in cambio…».
In cambio, Georges Simenon intraprende una vita che vuole farsi metafora del mestiere dello scrittore, un maleficio che lo condanna a trasformare ogni cosa in parola: «Io ti condanno, come Mida. Ma invece dell’oro, tramuterai ogni cosa in parola. E ogni parola sarà scritta col sangue. Per ogni libro che scriverai, e ne scriverai moltissimi, qualcuno morirà». E, così, agli avvenimenti che animano i libri del romanziere corrispondono accadimenti che presentano tantissimi punti di contatto con le vicende raccontate.
Giocando con una forma romanzo che si mescola agli elementi del giallo proprio dello scrittore belga, Se il diavolo ripercorre le tappe della vita di Simenon a partire proprio dalla prima apparizione del suo celebre commissario, scorrendo – con grande facilità – verso il centro nevralgico della propria carriera, verso quella fama mondiale che presto gli riconobbe il mondo intero.
Celebre per la straordinaria caratterizzazione dei personaggi e uno stile narrativo inconfondibile, Simenon – tra le pagine di Barbera – si imbatte in una serie di casi che sembrano seguire in maniera inquietante la trama dei suoi racconti, intrecciando la realtà con la prosa, la storia con l’immaginazione dell’autore. Le morti aumentano proprio come profetizzato dal diavolo e la soluzione del giallo non sembra di così facile intuizione come per Maigret.
Al di là di ogni espediente narrativo, però, c’è tanto, tantissimo di Simenon nel romanzo di Barbera: il rapporto turbolento con i lettori, i propri demoni, l’alcool, il sesso occasionale, la scrittura stessa. Per decenni, Georges Simenon si scola senza sosta bottiglie di brandy e scrive. Ultimato un romanzo, va a caccia di avventure, poi torna ai tasti della sua Royal. Ciò che ne viene fuori è una biografia immaginaria che trova nei suoi tratti esoterici qualcosa di misteriosamente reale. Una lettura piacevole che ben inaugura la nuova collana Interzona proposta dalla casa editrice napoletana e diretta da Orazio Labbate.