Si è parlato tanto in questi giorni del bambino affidato – sebbene in molti usino impropriamente il termine abbandonato – alla Culla per la vita del capoluogo lombardo. È la domenica di Pasqua, poco prima di mezzogiorno, quando il piccino, pochi giorni di vita e appena due chili e seicento grammi, è stato trovato alla Clinica Mangiagalli, Policlinico di Milano. Niente con lui, solo una lettera della mamma che chiede attraverso parole gentili di prendersi cura di suo figlio.
Il direttore della Neonatologia e della Terapia Intensiva Neonatale del Policlinico di Milano, Fabio Mosca, ha riferito in un’intervista che gli aspiranti genitori resisi disponibili per accogliere il piccolo sono numerosi ma, chiaramente, si dovrà attendere il tempo necessario affinché il Tribunale dei minori lo possa affidare a una famiglia adeguata.
La Culla per la vita è stata attivata al Policlinico milanese nel 2007 – da allora è stata usata tre volte – e, per chi non lo sapesse, si tratta di un servizio che garantisce assistenza e sicurezza a un figlio che non vuoi o non puoi crescere, restando nel totale anonimato. Una versione contemporanea della cosiddetta Ruota degli esposti, protagonista in svariati dipinti dell’Ottocento come La guardia alla ruota dei trovatelli di Gioacchino Toma (1877) o Alla ruota degli esposti di Domenico Induno (1865).
Si trattava di una bussola girevole in legno, di forma cilindrica, composta da due parti rivolte una verso l’esterno e l’altra verso l’interno. Il neonato veniva lasciato evitando di essere visti e poi si girava la ruota di modo che, attraverso uno sportello, chi di dovere potesse raccoglierlo e prendersene cura. Talvolta, la presenza di una campanella da suonare serviva ad avvertire tempestivamente della presenza dei bambini, i futuri Esposito, Innocenti o Sperandio. In Italia abbiamo anche alcune testimonianze di celebri ruote del passato, oggi visitabili, tra cui quella allo Spedale degli Innocenti a Firenze o quella nel Complesso Monumentale della SS Annunziata a Napoli, istituita nientemeno che nel 1600.
Oggi, nel Paese, le Culle per la vita sono numerose e dislocate in più città. E se da un lato la loro esistenza è fondamentale per evitare soluzioni estreme e agghiaccianti, dall’altro vi è per legge la possibilità – usata, purtroppo, da pochissime donne – di partorire in modo sicuro in ospedale, in anonimato e senza riconoscere il bambino. Ma perché il caso Mangiagalli ha fatto tanto parlare di sé?
Oltre alla notizia comunque di impatto, tante sono state le polemiche dovute alla diffusione di notizie – informazioni che forse dovevano restare, per l’appunto, riservate – che hanno portato il caso a diventare mediatico. Prime fra tutte, quelle relative alle parole di Ezio Greggio. Il noto conduttore televisivo, nelle migliori intenzioni possibili, ha pensato di diffondere un appello rivolto alla madre del piccolo, chiedendole di ripensarci e mostrandosi disposto ad aiutarla se fosse tornata a riprendersi il figlio.
Purtroppo, sono tante le cose che non vanno all’interno di questa faccenda e la prima è la violazione dell’anonimato che ha gettato in pasto ai media dati sensibili come il nome del bambino e reso la donna potenzialmente rintracciabile. E poi, nemmeno a dirlo, l’appello alla madre. Voler cercare a tutti i costi di identificare o comunicare – la comunicazione in realtà era già avvenuta – con la mamma del neonato dimostra la totale mancanza di rispetto nei confronti della persona e della sua libera scelta, cercando inoltre di interpretare il linguaggio nella lettera per stabilire se si tratti o meno di una brava donna, amorevole, pentita o altro.
Non conosciamo e non ci è dato sapere i motivi di chi compie un simile gesto. Ma è una scelta e come tale va rispettata, soprattutto tenendo conto del rispetto che ha avuto la madre nell’utilizzare un servizio sicuro e messo lì appositamente per questo scopo. Certo, un genitore che lascia suo figlio appena nato in una Culla per la vita è e resta qualcosa di triste e nessuno dovrebbe arrivare a compiere un’azione tanto drastica. Ma, forse, invece di considerarlo sintomo di un fallimento per la società, non si potrebbe vederlo come l’aver salvato un bambino da una sorte diversa, spesso peggiore?
Torniamo all’appello. Come già detto, non ne conosciamo i motivi eppure, poiché le parole della donna sono state gentili, sembra scontato ricondurre il tutto a difficoltà economiche, sennò non si spiega, e invitarla a fare marcia indietro con promesse di aiuto. Come se non ci possa essere neppure la remota possibilità che i motivi della scelta di non essere madre siano altri. Perché – sempre le parole dell’appello – quel bambino merita una vera mamma.
Ancora sono molti i misteri della vita su cui si interrogano da sempre gli esseri umani: cos’è una vera donna? Cos’è un vero uomo? Cos’è una vera mamma? Cosa diamine è un mammo? Questo ci fa riflettere e ci riporta alla convinzione che la vera madre, per molti, sia quella che partorisce, non quella che cresce, ama e si prende cura del bambino. Si dà per scontato che quest’ultimo stia meglio con la madre naturale invece che con una famiglia (qualsiasi essa sia) pronta ad accoglierlo. Si pensa di saperne di più di cosa sia meglio per lui (e per lei), di poter mettere in discussione la volontà della donna a prescindere dalle valutazioni che avrà già fatto lei. E in mezzo a tutto questo marasma, tra chi si erge paladino e chi invoca telecamere nei luoghi delle culle (sì, c’è chi l’ha detto), sorge un incessante, imponente quesito: ma qualcuno se lo ricorda che questo bambino, tecnicamente, avrebbe anche un padre?
Sono molti, troppi, gli ostacoli all’autodeterminazione delle donne, specialmente quando questa riguarda il proprio corpo o la maternità, ritenuta il momento di massima realizzazione femminile. Ancora siamo costretti a sorbirci polemiche di chi crede di avere voce in capitolo riguardo l’aborto. Tutti, eh. Tranne le donne incinte. Quando una donna esprime la sua volontà, questa appare sempre qualcosa di discutibile, di scavalcabile, da parte di chi crede di saperne più di lei. Sia mai che una donna affermi di non volere figli. Dici così adesso, poi li vorrai, Ti sentirai incompleta, È da egoiste, Te ne pentirai sono le frasi più quotate.
Che un bambino venga lasciato alla Culla per la vita non possiamo evitarlo. I problemi restano le leggi obsolete sulle adozioni, l’idea che ci sia un unico modo di essere genitori, il costante paternalismo, la convinzione che esista un’autorità superiore in grado di indirizzarti sulla retta via, anche quando una scelta tu l’hai già effettuata. Ma, in fondo, tutto viene detto e fatto nel rispetto del diritto dei bambini a crescere in luogo sicuro e amorevole, assieme a brave persone che li desiderano davvero. O sbaglio?