La 95ª edizione dei Premi Oscar ci dà l’ennesima conferma che lo sguardo collettivo si sta spostando altrove, sempre più verso il fuori dagli schemi, ricompensando i prodotti outsider a discapito (a volte anche ingiustamente) dei nomi più altisonanti di Hollywood. Il tutto riconducibile non certo a improvvise prese di coscienza ma ovviamente al nostro amato e indiscusso amico marketing.
Una parabola già iniziata con il trionfo di Parasite nel 2020 e che ieri, nella notte del 12 marzo 2023, è avanzata in ascesa senza se e senza ma. A sbaragliare ogni cosa quest’anno è Everything Everywhere All at Once, pellicola firmata da Daniel Kwan e Daniel Scheinert sotto lo pseudonimo di The Daniels e vincitrice di ben sette statuette su undici candidature. La più candidata e in seguito la più premiata.
Vince nell’ambita categoria miglior film, contro giganti del calibro di The Fabelmans (Steven Spielberg), Avatar – La via dell’acqua (James Cameron), Gli spiriti dell’isola (Martin McDonagh), Elvis (Baz Luhrmann), Niente di nuovo sul fronte occidentale (Edward Berger), Tár (Todd Field), Top Gun: Maverick (Joseph Kosinski), Triangle of Sadness (Ruben Östlund), Women Talking – Il diritto di scegliere (Sarah Polley). Sebbene Spielberg avesse la strada spianata dopo la vittoria ai Golden Globe o Cameron fosse tra i favoriti, l’eccentrico film sul metaverso non ha lasciato scampo.
Miscela esplosiva tra Kill Bill e Matrix, è la storia di Evelyn Quan Wang, un’immigrata cinese trapiantata negli USA e proprietaria di una lavanderia a gettoni, la cui vita non pare essere un granché. Almeno fino a quando il corpo del suo mite marito Waymond non viene brevemente rilevato da Alpha Waymond, una versione del consorte proveniente da un universo chiamato Alphaverse. Questi spiega a Evelyn che esistono molteplici versioni di lei poiché esistono molteplici universi paralleli e che tramite una nuova tecnologia, il salto-verso, è possibile attraversarli. Alpha Waymond è infatti lì per cercare una Evelyn che lo aiuti in una missione fondamentale: salvare il multiverso.
Everything Everywhere All at Once è un film fuori controllo, atipico, che si ritrova a troneggiare tra la giuria degli Academy Awards anche per la regia dinamica e allucinata dei The Daniels e grazie all’ottimo cast, tra cui una protagonista che ha fatto anch’ella la storia.
Michelle Yeoh, classe 1962, vince nella categoria miglior attrice protagonista, sotto lo sguardo attonito delle divine Cate Blanchett o Michelle Williams, entrambe comunque eccellenti nei loro ruoli. Attrice malese di origini cinesi, ieri sera ha tintinnato il cucchiaino sul bicchiere dell’inclusione per ben due volte, una per ricordarci che esistono cinque continenti nel mondo, l’altra per ricordarci che a sessant’anni puoi saltare tra universi paralleli, fare arti marziali, brillare sul red carpet e farla in barba alle migliori giovani dive di Hollywood. Non permettete mai a nessuno di dirvi che avete superato una certa età, ha detto nel suo discorso di premiazione.
Fugati tutti i dubbi, è Brendan Fraser il miglior attore protagonista. Spiacenti per Colin Farrell o un ottimo emergente Austin Butler (Elvis) ma la star di The Whale, suggestivo inno all’amore tra padre e figlia dalle lacrime assicurate, meritava questo premio e lo sapevano tutti. Fraser ha ritirato la statuetta tra gioia, commozione e spirito di rivalsa, in particolare dopo i difficili trascorsi giovanili, quando si ritrovò ad attraversare una profonda depressione a causa di varie situazioni, tra cui un abuso sessuale da parte di uno dei presidenti della Hollywood Foreign Press Association, associazione da sempre organizzatrice dei Golden Globe. Questo premio segna dunque la sua rinascita, il coraggio ritrovato anche grazie al movimento #MeToo.
Alpha Waymond, nel nostro universo noto come Ke Huy Quan, si aggiudica il miglior attore non protagonista (che dispiacere per Judd Hirsch, iconico) mentre la miglior attrice della stessa categoria è Jamie Lee Curtis – più che visibile il fumo dalle orecchie di Angela Bassett –, che nel film interpreta l’inquietante ispettrice dell’IRS Deirdre Beaubeirdre. Superlativa come al solito.
Ancora a Everything Everywhere All at Once miglior montaggio e sceneggiatura originale, mentre quella non originale va a Sarah Polley per Women Talking – Il diritto di scegliere. Il miglior film internazionale lo vince invece Niente di nuovo sul fronte occidentale (Im Westen nichts Neues), del regista tedesco Edward Berger, terzo adattamento cinematografico dell’omonimo romanzo di Erich Maria Remarque e che è attualmente disponibile su Netflix. Il film si aggiudica altresì migliore scenografia, fotografia e colonna sonora originale, splendidamente composta da Volker Bertelmann.
Dolcissimo Marcel the Shell (Dean Fleischer-Camp) e decisamente rivoluzionario Red (Domee Shi) ma è Pinocchio di Guillermo del Toro il miglior film d’animazione. Nulla da dire, specie se si mettono insieme Del Toro, una fiaba sempreverde, satira politica e la tecnica dello stop-motion. Anche questo su Netflix.
C’era più di una chance per Babylon di Mary Zophres, eppure i miglior costumi sono quelli di Ruth E. Carter per Black Panther: Wakanda Forever. Peccato anche per Elvis ma ci sta.
The Whale porta a casa miglior trucco e acconciatura, che assieme alla meravigliosa e struggente interpretazione di Brendan Fraser hanno dato vita a un personaggio sfaccettato e incredibile, protagonista di una storia cruda, umana.
Contro ogni previsione, i due giganti degli Academy, The Fabelmans e Avatar – La via dell’acqua, rispettivamente con sette e quattro nomination, restano a bocca asciutta, tranne per quest’ultimo che conquista i migliori effetti speciali e anche giustamente, diremmo. Resta un po’ di dispiacere per Spielberg che ci aveva messo davvero il cuore in quella che considera la sua opera più intima e personale.
Top Gun: Maverick, onestamente la talpa di questi Oscar, intasca il miglior sonoro, mentre la migliore canzone originale va a Naatu Naatu (RRR), primo brano musicale indiano a vincere tale premio.
Concludiamo il riassunto delle premiazioni con miglior documentario a Navalny, miglior cortometraggio documentario a Raghu, il piccolo elefante, miglior cortometraggio a An Irish Goodbye e miglior cortometraggio d’animazione a Il bambino, la talpa, la volpe e il cavallo. Gli Oscar onorari sono invece andati a Euzhan Palcy, Diane Warren, Peter Weir e Michael J. Fox ha ritirato il Premio umanitario Jean Hersholt.
Che siano politici, politically correct o meno poco conta, questi Academy Awards rispecchiano gli attuali cambiamenti sociali attraverso pellicole d’alto livello e tecnicamente impeccabili e che ci ricordano che il cinema, quello in sala, vive eccome e ha sempre tanto da dire.