Non è vero che la scalata sociale si può fare. Non è vero che con impegno e determinazione si può arrivare ovunque e che un giovane proveniente da una famiglia a basso reddito può risollevare la propria condizione economica e trovare un lavoro ben retribuito. Perché anche trovare lavoro è una questione di privilegio, anche proseguire gli studi, anche i tirocini, anche il praticantato: solo chi può permetterselo ha accesso a ruoli elitari. E, dunque, solo chi ha alle spalle una buona situazione economica familiare di partenza può fare carriera. Per tutti gli altri, non c’è posto.
Per trovare lavoro è necessario il privilegio di non aver bisogno di un’occupazione. È questa la conclusione che si può trarre dall’ultimo rapporto dell’European Youth Forum che ha calcolato il costo, per il giovane lavoratore, di uno stage. Un percorso formativo in azienda, che nella maggior parte dei casi è vero e proprio lavoro e non formazione, costa al tirocinante circa 1000 euro al mese. Quello stesso tirocinio, però, è pagato al tirocinante da 0 a 800 euro. Insomma, si lavora, ma solo per andarci a perdere.
In Italia esistono due tipologie di tirocini. Quelli curriculari fanno parte del percorso di studi e sono, come prevede la legge, non pagati. Quelli extracurriculari, ovvero tirocini effettuati al di fuori del percorso scolastico o di laurea e pensati teoricamente per l’inserimento nel mondo del lavoro, sono pagati con un rimborso spese mensile deciso su base regionale, che varia dai 300 agli 800 euro e che, in ogni caso, non copre le spese del costo della vita.
I tirocini durano sei mesi e possono essere rinnovati per altri sei, sono in teoria pensati per essere un passaggio intermedio tra il mondo universitario e quello del lavoro, ma raramente dopo uno stage si ottiene l’assunzione. Solo il 29,9% (dati relativi agli anni dal 2014 al 2019) degli stage si trasforma in contratto, tutti gli altri si trasformano in nuovi stage, all’infinto, con sempre la stessa misera retribuzione. Inoltre, per ottenere l’accesso a molti ordini professionali, è obbligatorio un tirocinio o praticantato che dura anche due anni, il cui compenso non è diverso da quello sopracitato.
Quale conclusione si può trarre dal quadro appena descritto? Che fare un tirocinio costa e solo i giovani che non hanno un imminente bisogno di lavorare possono permetterselo. Che una famiglia a basso reddito non può avere figli avvocati perché non potrà mantenerli per due anni di lavoro a tempo pieno a 500 euro al mese. O figli che lavorano nel marketing perché non potranno sostenere il costo della vita per il tempo di tre o quattro stage malpagati. E che formarsi per avere un lavoro ben retribuito, fare la cosiddetta gavetta – che altro non è che una giustificazione per lo sfruttamento dei giovani lavoratori – costa troppo perché se lo possano permettere tutti.
Dunque, anche trovare lavoro è una questione di privilegio e solo chi non ha bisogno di uno stipendio per mantenersi ha qualche possibilità di trovarne uno. Per tutti gli altri, non esiste opportunità di formazione, non esiste miglioramento della propria condizione economica. Perché l’accesso all’istruzione è teoricamente un diritto ma praticamente un privilegio, perché solo chi ha una famiglia benestante alle spalle può permettersi di lavorare senza percepire compenso per mesi o, addirittura, anni.
Sicuramente, gran parte del problema è costituita dagli stage, che non sono altro che sfruttamento legalizzato, strumenti utili alle aziende e non ai lavoratori che però hanno gravi conseguenze sull’intero sistema sociale: accentuano le disuguaglianze. Questo sistema, infatti, è pensato per garantire manodopera a basso costo, facilmente intercambiabile nelle aziende in cui non ci si limita ad avere pochi tirocinanti finalizzati all’assunzione, ma si opera uno scambio frequente di personale. Non è un caso che siano molti quelli che ricercano persone con esperienza, nonostante lo stage sia, per definizione, un percorso formativo, che non prevede un certo curriculum del lavoratore, ma che deve costituire un bagaglio proprio nel suo svolgimento. Invece, fin troppo spesso, le offerte di tirocini ricercano persone che ne hanno già svolti altri, certi di trovarne perché, tanto, quasi nessuno viene assunto.
Diventa chiaro, in questo modo, che l’intento primario di un tirocinio è snaturato. E non sono solo i datori di lavoro il problema, quanto l’intero sistema che non regolarizza la situazione impiegatizia dei giovani. Non c’è interesse da parte dello Stato nel regolare questo aspetto del mondo del lavoro, limitando il numero di stage non seguiti da assunzione che le aziende possono fare, aumentando il compenso obbligatorio per un tirocinio in modo da coprire il costo della vita, soprattutto per i tanti costretti a cambiare città alla ricerca di un impiego. I giovani non sono mai una priorità per i governi che si susseguono perché non è al futuro che pensa la classe politica, quanto agli elettori di oggi.
Le conseguenze di questo sistema che sembra riguardare solo i ragazzi, però, prima o poi si riverseranno anche su tutti gli altri. Attualmente, i giovani italiani sono quelli che lasciano casa dei genitori più tardi in Europa, quelli che non possono permettersi di vivere da soli. Quelli con il reddito più basso, quando il reddito c’è, e che iniziano a ottenere il versamento dei contributi con netto ritardo. Ma, più il tempo passa, più l’assenza di manodopera costerà alle aziende, non più in grado di produrre.
Presto, il calo delle nascite sarà tale che lo Stato non potrà sostenere le spese delle generazioni più vecchie a causa della mancanza di nuova forza lavoro. E mentre trovare occupazione resta un privilegio solo per chi può fare tre o quattro tirocini finché non ha la fortuna di trovare quello finalizzato all’assunzione, tutti gli altri sono potenziali lavoratori dei settori specializzati – quelli che, a lungo andare, diverranno i più ricercati – che non saranno in grado di specializzarsi e lasceranno scoperte così tante posizioni che c’è da chiedersi come farà il nostro Paese a sopravvivere.