Quella contro l’aborto, più che una battaglia personale o politica, sta diventando un’ossessione per gli uomini – e anche qualche donna – al governo. Ciò che viene narrato come un interesse per la vita di quei poveri embrioni che, scientificamente parlando, la vita non ce l’hanno, è in realtà la più vecchia di tutte le storie: quella di costruire una società, un sistema, in cui gli uomini hanno il potere sulle donne e i loro corpi. E il nuovo modo che si sono inventati per perseguire l’obiettivo più antico del mondo passa attraverso i cosiddetti diritti del concepito.
Dopo la proposta di legge spuntata appena si è formato il nuovo governo e firmata Maurizio Gasparri – storicamente noto per le sue posizioni avanguardiste – e dopo le insistenti e davvero poco credibili dichiarazioni del Presidente del Consiglio in merito alla certezza che nessuno toccherà la Legge 194, ecco farsi largo l’ennesimo tentativo di togliere i diritti alle donne per darli a un imprecisato numero di cellule completamente privo di volontà. È di Roberto Mania, Fratelli d’Italia, la nuova proposta di legge che vorrebbe riconoscere i diritti del concepito. Ed è attraverso una modifica all’articolo 1 del Codice Civile che intenderebbe farlo.
Non c’è che dire, gli uomini che vogliono togliere potere e diritti alle donne sanno inventarsi modi fantasiosi per farlo. Non propongono di dichiarare che le loro mogli, compagne, figlie, madri, sorelle sono inferiori, controllabili, di proprietà altrui, si limitano a sottrarre loro i diritti. E per sottrarre i diritti, fingono di volerli dare a qualcun altro. Mania sostiene di voler dichiarare che ogni uomo ha la capacità giuridica in quanto uomo, cioè che la soggettività giuridica ha origine dal concepimento, non dalla nascita. Peccato che alla donna in quanto donna non siano riconosciuti diritti, capacità giuridica o volontà di alcun tipo.
Si tratta di riconoscere, anche nell’ambito giuridico, che embrione, feto, neonato, bambino, ragazzo, adolescente, giovane, adulto, anziano, vecchio sono diversi nomi con cui si indica una identica realtà, un identico soggetto, lo stesso essere personale, lo stesso uomo. Oppure, a voler essere più sinceri, si tratta di voler decretare una classifica di soggetti giuridici e di decidere che qualcuno ha più diritto di qualcun altro. Che un uomo in quanto uomo e che un embrione in quanto embrione abbiano più diritti di una donna, che ha già una vita e che si vede sottratta la possibilità di prendere consapevolmente e liberamente la decisione di diventare madre o meno.
Al di là delle problematiche pratiche, sono quelle simboliche e sociali a spiegare chiaramente il problema, perché è proprio la maternità uno dei motivi per cui alle donne sono stati negati i diritti per millenni. Perché avevano il potere di creare la vita e allora doveva essere sottratto loro il potere di tutto il resto, anche quello su sé stesse. E anche perché è proprio la maternità a mettere, ancora oggi, le donne in una posizione economica e sociale svantaggiosa, a decretare la discriminazione sul luogo di lavoro, in ambito familiare e in tutti quei contesti che, invece di tutelare la maternità come millantano gli stessi politici che hanno elaborato queste proposte di legge, la trattano come un ostacolo.
I diritti del concepito non sono altro che un modo per sottrarre la soggettività giuridica alle donne, o perlomeno subordinarla a quella di qualcun altro. Non è un modo, come sostengono, per dare più diritti a chi non ne ha, ma per toglierne a chi ne ha già fin troppo pochi, rendendo la vita di una persona in carne e ossa, la sua volontà e la sua autodeterminazione meno importanti della potenziale vita futura di qualcosa che al momento di vita ne è privo. Tutta questa voglia di tutelare il concepito scema nel momento in cui nasce. Ogni donna allora avrà più diritti quando non sarà ancora nata e molti di meno durante la vita, quando si vedrà sottratta tutti quei privilegi e quella soggettività giuridica alla quale ha di fatto avuto accesso solo prima di nascere.
Se si è alla ricerca di motivazioni dietro questo accanimento nei confronti dei diritti delle donne e, in particolare, del diritto all’aborto, non sono troppe le dietrologie a cui fare riferimento. Non si pensi a interrogazioni morali intorno all’essenza della vita e al suo inizio. Non si pensi a motivazioni religiose, non si pensi a un ipocrita e inutile, ma quantomeno decifrabile, tentativo di tutelare la natalità. Si tratta sempre, in ogni caso, consciamente o meno, di una chiara intenzione di sottrarre diritti alle donne. Di imporre loro qualcosa, di rubarne la libertà e il potere decisionale sul proprio corpo.
Negare il diritto all’aborto, in qualunque modo e con qualunque sotterfugio, compresa una proposta di legge sui diritti del concepito, non è altro che un esercizio di potere. Un modo per affermare la propria forza prevaricando gli altri. E le donne sono sempre state le vittime preferite di questo sistema.