Undici proposte di legge in cantiere. Un milione e mezzo di euro promessi. Un emendamento in Legge di Bilancio. Sì, il nuovo governo ha puntato gli occhi (e il fucile) sulla fauna selvatica. Per chi non avesse idea di ciò di cui sto parlando, la Commissione Bilancio della Camera dei Deputati ha approvato un emendamento alla bozza della prossima Manovra il cui primo firmatario è Tommaso Foti, capogruppo alla Camera di Fratelli d’Italia. Si tratta di una modifica della 157 dell’11 febbraio 1992, la legge che regolamenta la caccia in Italia.
In realtà, i provvedimenti sul tema sono normalmente estranei alle leggi finanziarie, tant’è che l’emendamento era stato inizialmente dichiarato inammissibile per incongruità e riammesso solo grazie all’intervento del Presidente della Camera. È evidente come, in questo caso, si sia deciso di puntare fortemente su un tema inaspettato.
L’emendamento interverrà in particolare sull’art. 19 della 157, relativo al controllo della fauna selvatica. Nel testo originario era previsto che le Regioni e le Province Autonome dovessero provvedere al controllo delle specie selvatiche, anche nelle zone dove la caccia è vietata, ma attraverso metodi ecologici, cioè senza uccidere gli animali. Gli abbattimenti potevano essere autorizzati solo se l’Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale (ISPRA) riteneva che gli altri metodi fossero inefficaci e dovevano essere eseguiti da guardie venatorie, ovvero pubblici ufficiali autorizzati a questo scopo (coadiuvati dai proprietari o gestori dei terreni interessati se dotati della licenza per la caccia).
Ma, ora, tutto cambia. Il nuovo emendamento consentirà, in determinate circostanze (che dovrebbero rispettare la tutela della biodiversità e la tutela della pubblica incolumità e della sicurezza stradale), le uccisioni delle specie di fauna selvatica anche nelle zone vietate alla caccia, comprese le aree protette e le aree urbane, anche nei giorni di silenzio venatorio e nei periodi di divieto.
Insomma, la prima novità è quella delle location: aree protette e aree urbane fanno il loro debutto. La ragione addotta è una sola: i cinghiali. Chi, negli ultimi mesi, non ha visto i video in cui scorrazzano beati tra le vie della Capitale, razzolano tra i bidoni e spaventano i turisti? Sicuramente, la situazione è fuori controllo e gli ungulati possono portare gravi danni a cose e persone. Eppure ridurre questo emendamento a un tentativo di decimarli sarebbe un errore.
La formulazione dell’emendamento, infatti, include qualsiasi bestia selvatica: dai lupi agli orsi, dalle volpi ai cervi. A essere sdoganati saranno gli abbattimenti in città, nei parchi e nelle riserve naturali e, nonostante l’emendamento parli di tutela della biodiversità, spariscono i divieti relativi ai giorni di silenzio venatorio o alle fasi riproduttive delle specie. La portata dell’emendamento, quindi, è molto più ampia di ciò che si crede.
Ovviamente, oltre alle bestie, di mezzo ci vanno anche gli esseri umani: le vittime della caccia nella sola stagione venatoria 2021/22 sono state 90 (24 morti e 66 feriti secondo i dati dell’Associazione Vittime della Caccia). Aprire le danze nelle zone urbane è di certo rischioso e va indagato nel dettaglio come si andrà a preservare la tutela della pubblica incolumità e della sicurezza stradale.
Cerchiamo di capire, allora, le modalità. Spariscono gli ufficiali autorizzati all’abbattimento: le operazioni saranno coordinate da agenti dei corpi di polizia, ma eseguite dai cacciatori della zona, previa frequenza di corsi di formazione. Una previsione che preoccupa soprattutto in aree urbane, dato che a uccidere 24 persone e ferirne 66 sono stati, ovviamente, dei cacciatori italiani.
Il governo nega di star strizzando l’occhio ai cacciatori – le attività di controllo della fauna non sono venatorie! – eppure ritaglia per loro un ruolo fondamentale e, soprattutto, ne finanzia le associazioni. Sì, la nuova Legge di Bilancio fa un bel regalo alle associazioni venatorie: mezzo milione di euro all’anno per incrementare il fondo previsto dall’art. 24 della legge sulla caccia.
Si tratta di manovre che oggettivamente esaudiscono molte delle richieste della lobby dei cacciatori (e della sua gemella, quella dei costruttori d’armi) e che sembrano avere un chiaro indirizzo. Insomma, per fare nomi e cognomi, ricordiamo la presenza di Salvini all’Hit Show e il legame storico della Lega al bacino elettorale dei cacciatori, così come l’impegno profuso in campagna elettorale a favore dei detentori d’armi.
Fare gli interessi dei propri elettori non è una novità per un governo, ma gli interessi particolari dovrebbero sempre essere bilanciati con l’interesse pubblico. In questo caso, siamo certi che gli interessi economici (locali e non) delle lobby che il governo tiene tanto a cuore non vadano a inquinare le dinamiche – costituzionali – relative alla tutela della fauna?
Grazie al nuovo emendamento sparisce il confronto con l’Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale e gli organi di livello regionale ne sostituiscono interamente il ruolo di controllo e tutela. In aggiunta, in questi pochi mesi di legislatura, sono state depositate ben 11 proposte di legge in materia di fauna (non ancora approvate). Tra le tante, ovviamente, c’è il rafforzamento degli istituti regionali per facilitare le operazioni di controllo sulle specie.
Si è perfino proposto di conferire alle province autonome di Trento e Bolzano la facoltà di deroga alle norme in tutela di orsi e lupi. Insomma: c’è una netta e chiara tendenza verso il localismo. Il punto, però, è che la fauna è classificata come patrimonio indisponibile dello Stato, ha un interesse pubblico e una tutela costituzionale: non dovrebbe, di conseguenza, essere gestita attraverso una pianificazione e un controllo nazionale?
Il tutto viene coronato da un’ulteriore manovra: poco prima dell’approvazione dell’emendamento, la Commissione Ambiente del Senato (esprimendosi sul decreto legge di riordino dei ministeri) ha chiesto di individuare le modalità per trasferire le funzioni statali in materia dal Ministero dell’Ambiente al Ministero dell’Agricoltura. Non solo la fauna viene declassata da elemento fondamentale di biodiversità del patrimonio naturalistico italiano a un macro tema produttivo, ma viene consegnata simbolicamente alle associazioni agricole che da anni portano avanti campagne per lo smantellamento delle normative nazionali ed europee di tutela della fauna, ovviamente a causa degli ingenti danni economici causati dagli animali selvatici (in primis i cinghiali) alle coltivazioni e dalla peste suina al mercato delle carni italiane.
I due “rimedi” principali proposti però – l’affidamento della gestione del patrimonio faunistico ai cacciatori e il rafforzamento di enti locali e associazioni venatorie a discapito di una pianificazione statale – non vengono affatto ritenuti dagli esperti una buona soluzione al problema. Al contrario, le maggiori associazioni scientifiche italiane si sono schierate contro l’emendamento.
Prima di tutto, gli scienziati non apprezzano la prospettiva di affidare le delicate attività di controllo faunistico a figure prive di competenze selezionate attraverso corsi estemporanei, marginalizzando il contributo di figure maggiormente specializzate. In secondo luogo, la caccia viene considerata una misura inefficace per gestire la popolazione di ungulati, al contrario delle contromisure ecologiche che da tempo vengono caldeggiate (dati e risultati alla mano) dagli esperti.
Inoltre, secondo tutti gli esperti naturalisti, ecologici e agronomi, l’avvicinamento dei cinghiali alle aree urbane dipenderebbe dalla cattiva gestione dei rifiuti e del verde urbano: l’abbattimento selettivo risulterà completamente inutile se non si agisce sulla radice del problema, poiché nuovi branchi continueranno a essere attratti dall’ambiente degradato della città e a proliferare nell’incuria.
Non sembra, però, esserci alcuna voglia di mediazione con le associazioni scientifiche e ambientaliste. Ancora una volta si legifera senza un vero confronto con gli esperti: nonostante la tutela dell’ambiente, della biodiversità e degli ecosistemi abbia da poco fatto il suo debutto nella Carta Costituzionale nulla sembra essere cambiato. La priorità resta una sola: la caccia, sì, ma ai consensi del proprio bacino elettorale.