Terminate le feste natalizie, diminuito di poco il flusso di turisti che ha letteralmente invaso il centro storico di Napoli, quello cosiddetto buono, le file per ammirare il Cristo velato, il MANN e Palazzo Reale, ecco riemergere le solite critiche a un turismo disordinato, a una città trasformata in un fiume di paninoteche, pizzerie e trattorie che ha sfrattato i residenti per rendere abitazioni e locali più produttivi. Fatto più evidente è la rivalutazione dei Quartieri Spagnoli, fino a qualche tempo fa off limits, non solo per i turisti, trasformati in anni recenti in un luogo attrattivo con decine di locali sempre affollati e un’economia che ha dato respiro a una zona in passato nota per tutt’altri interessi.
Che l’offerta ricettiva sia sensibilmente aumentata grazie ai numerosi b&b sorti un po’ ovunque è realtà più che acclarata; che il moltiplicarsi di ristoranti, trattorie e pizzerie sia altrettanto un dato di fatto non c’è alcun dubbio, ma la terza città italiana nota in tutto il mondo per il suo immenso patrimonio artistico e culturale può accontentarsi di un turismo affamato soltanto di pizza fritta e babà? Oppure soltanto, come opportunamente osservato da Maurizio de Giovanni in un recente intervento in un’emittente locale, di visite ai soliti due, tre siti di maggiore interesse artistico, seppure di grande pregio, ma certamente non gli unici degni di essere visitati?
Domande che presupporrebbero risposte da chi dovrebbe dettare le linee, proporle all’assemblea dei consiglieri ascoltando e facendo tesoro delle Municipalità, quelle che lavorano, che talvolta hanno capacità maggiori di comprendere le esigenze dei territori e dei siti da valorizzare. Tutto questo, di norma, è quanto dovrebbe elaborare il responsabile della cultura in un quadro complessivo, una strategia generale che tenga conto delle potenzialità e delle risorse immense che il capoluogo campano possiede. E de Giovanni opportunamente si chiede come mai una città come Napoli, ad esempio, non abbia un suo festival della letteratura come Mantova e Pordenone, realtà molto più piccole che con una sola manifestazione all’anno sono capaci di attrarre l’interesse di un Paese intero e farne un vanto.
Napoli non può accontentarsi di mettere assieme alcuni volti noti della comicità televisiva con ospitate discutibili, essere soddisfatta di aver riempito la sua piazza più bella in occasione della notte di San Silvestro o che la stessa sia stata opzionata per tre serate da Gigi D’Alessio. Nulla contro l’artista, ma sono tutti eventi fuori da una strategia, da una visione di offerta culturale concreta sia per i residenti che per i turisti.
E chi dovrebbe elaborare un piano seguendo una logica nel rispetto delle potenzialità di una città che non manca assolutamente di risorse qualificate talvolta richieste maggiormente altrove ma ignorate nel proprio Comune? Napoli e la Regione Campania sembra abbiano la stessa visione, incomprensibile ma pur sempre una visione: fare a meno di un Assessore alla Cultura delegando a consulenti ed esperti che, per quanto rispettabili, sono fuori da ogni riflessione politica di ampio respiro. Un’ulteriore anomalia tutta nostrana rilevata anche dal neo Ministro della Cultura Sangiuliano che, però, finora non ha avuto alcun seguito.
Agli inizi della sindacatura, Manfredi aveva pensato addirittura di affidare la gestione di alcuni dei più importanti siti cittadini a una fondazione di diritto privato, una proposta presentata alla stampa nel Piano della Cultura 2022/26 che, però, non sembra abbia riscosso del tutto i favori della maggior parte del mondo coinvolto, tranne ovviamente di quanti interessati al business.
Ritenere inutile un Assessore alla Cultura non è, però, la sola anomalia che regna nei Palazzi di Piazza Municipio e via Santa Lucia. Lo è anche quella di una comunicazione assente, come rilevato dallo stesso de Giovanni. Un silenzio, un muro, tra il Palazzo e la città. Perfino la posta elettronica è completamente ignorata dalla segreteria del Sindaco, contrariamente a una comunicazione quotidiana e a un’immediatezza di confronto con i cittadini e con la stampa cui eravamo abituati fino a ieri, ma è costume ormai ben consolidato quello di dover gettare fango sul passato e accontentarsi della reticenza.
Vogliamo credere che il silenzio sia una discussione portata avanti con altri mezzi, come diceva Che Guevara. Quali non sappiamo ma, come sempre, vogliamo essere fiduciosi nel solo interesse della città che non merita un pressappochismo e una cultura che non sia centrale, nel rispetto delle tradizioni, dei grandi che hanno fatto la storia di Napoli, di quanti artisti e studiosi – loro sì – che in silenzio lavorano per il bene della città, in attesa che chi di dovere se ne accorga.