Su, nel profondo Nord, tra Padova e Montagnana, borgo bello d’Italia, esiste un nucleo di persone resistenti alle nebbie, alla ricchezza identitaria, alla tristezza militante. Di questo nucleo, con largo anticipo sulla scienza dura, si è realizzata da qualche tempo la fusione in grado di sprigionare energia ad alta intensità e lunga gittata. La centrale atomica è un blog chiamato Contame, raccogliamo storie (il sottotitolo serve a fugare eventuali dubbi interpretativi sull’imperativo in declinazione veneta) e la rete che alimenta si estende in tutta Italia.
Questo piccolo gruppo di persone, qualcuno suppone perfino si tratti di una coppia – che definire di sognatori sarebbe oltre che insopportabilmente convenzionale, sostanzialmente inesatto – appiccano periodicamente fuochi narrativi a tema che chiamano, non senza una punta di autoironia, concorsi. Più spesso, lanciano frecce incendiarie di idee, sentimenti, emozioni che accendono le tastiere di scrittrici e scrittori diportisti in giro per il Paese.
L’obbedienza forzata, e mal tollerata, imposta loro (e a tutti) dal Covid e dalle misure per il suo contenimento, ha generato una reazione trasgressiva soprattutto per l’anacronismo del parlare di felicità in un tempo nero di guerre, crisi umanitarie, climatiche, economiche e sanitarie. L’hanno fatto, a ottobre, invitando le tastiere remote, associate e non, a scrivere di ciò che le rende, o le renderebbe, felici. Non contenti, giocando l’atout tutto interno di una psicologa-attrice altrettanto incandescente, hanno promosso un seminario sulla felicità, che, come una cometa, ha attratto più di un centinaio di speranzosi montagnanesi in una sera d’autunno.
La sponda meridionale non poteva restare indifferente a questa micro rivoluzione vitalistica e così, il 2 dicembre, non a caso nella terra ardente di Pozzuoli, è stato replicato il seminario curato dalla dottoressa Sara Bonfantoni e organizzato dalla neonata Agorà delle Donne, libera associazione politica disobbediente alle logiche di partito.
La sala dell’auditorium San Marco, che ha ospitato amichevolmente la conferenza, si è riempita di persone di varie età, a riprova del fatto che la sensibilità all’argomento è indipendente dall’anagrafe. La professionalità sorridente e disinvolta di Sara ha accompagnato il pubblico in una riflessione collettiva sugli agenti esterni e i comportamenti indotti che intralciano la naturale tendenza alla felicità, un’attitudine, abbiamo scoperto, cui siamo neurologicamente attrezzati.
Con sapiente miscela di dati statistici, sociologici, psicologici ed esperienza personale, la dottoressa Bonfantoni costruisce una comunicazione efficace e stimolante, creando le condizioni favorevoli per il coinvolgimento emotivo, indispensabile per intravvedere prospettive diverse, cambiando il punto di vista. Più che una lectio, è un racconto in cui riescono a entrare tutte e tutti. Infatti, l’unica criticità si è verificata alla fine, quando la relatrice ha dovuto fronteggiare l’assalto affettuoso e complimentoso di quasi tutto il pubblico.
Piccola notazione a margine: a un certo punto dell’esposizione, Sara ha fatto un breve riferimento al Buthan, il paese dell’Asia meridionale noto come il più felice del mondo (indice Gross National Happiness/Felicità Interna Lorda), notando la sua politica di chiusura al turismo (totale fino al 1974) finalizzata alla salvaguardia dell’ambiente, della cultura locali e del benessere – che, evidentemente non s’intende solo economico – delle persone che vi risiedono. Questa goccia di senso, per citare una metafora suggerita dalla dottoressa, non s’incanala nel rivolo già tracciato sul vetro, ma cola dentro la riflessione che sul rapporto turismo/città io e tanti altri e altre approfondiamo da qualche tempo.
Le contraddizioni e le controindicazioni che si vanno facendo sempre più evidenti (si guardi agli effetti collaterali causati da Procida Capitale) nella violenza delle trasformazioni che il turismo massivo imprime ai paesaggi naturali come alle città, organismi fragili e precari soprattutto al Sud. Ma questa è un’altra storia che dobbiamo ancora scrivere, prima però che lo facciano altri senza di noi. Buona, lunga e felice vita a Sara e alla banda di Contame!
Contributo a cura di Iaia de Marco