Ho perso mio nonno paterno all’età di dieci anni e quei giorni di vuoto e dolore rappresentano la prima, nitida memoria che ho della mia infanzia. Ricordo bene quanto la spensieratezza di tutto il resto del mondo che non viveva quella mia tristezza mi infastidisse. I compagni di classe che riuscivano a ridere, le persone che passeggiavano per la strada pensando soltanto a dover fare la spesa. Scoprire che il dolore personale è un qualcosa con cui soltanto noi stessi possiamo e dobbiamo fare i conti è la prima grande prova che affronta qualunque bambino.
Per questo motivo – e grazie alla magia della letteratura – ho da subito creato un legame d’affetto con il protagonista del romanzo d’esordio di Giovanni Di Marco, L’avversione di Tonino per i ceci e i polacchi (Baldini+Castoldi), un ragazzino di soli sette anni che si trova a dover fronteggiare, forse, la più terribile delle mancanze, quella della madre che, nel maggio del 1981, muore di parto mentre chiunque altro rivolge le sue attenzioni all’avvenimento che segnerà quei giorni: l’attentato a Papa Giovanni Paolo II.
Ha soli sette anni, Tonino, quando la propria vita cambia per sempre e il dolore e la rabbia si allungano come un’ombra scura sul suo presente e sul suo domani. Il titolo del romanzo, evocativo, ricorda la famosissima scena de La vita è bella di Roberto Benigni, quando il piccolo Giosuè scopre che alcuni bar vietano l’ingresso a cani ed ebrei. In quel momento, il papà, che comincia a mettere su il gioco che condurrà per l’intera durata del film e della Seconda guerra mondiale, invita il bambino a limitare anch’egli l’accesso alla libreria di famiglia a coloro che gli sono meno simpatici: “Vietato l’accesso ai ragni e visigoti… oh, e m’hanno rotto le scatole questi visigoti”.
E anche se l’ambientazione storica non vive certo la drammaticità degli anni del conflitto globale, l’avversione che Tonino sviluppa verso ceci e polacchi è crudele quanto quella a discapito del piccolo Giosuè. L’attentato a Papa Wojtyla ruba la scena al dramma per la scomparsa della propria madre, così il bambino non può far altro che odiare quell’uomo che, addirittura, occupa le pagine del Giornale di Sicilia che Tonino aveva comprato perché sapevo che lo stampavano a Palermo e che ogni giorno c’erano scritte tutte le cose che succedevano a Palermo. E mia madre era morta a Palermo.
Quel giorno, Tonino viene trasferito dal padre a casa della zia Nunzia che, a ora di cena, propone la zuppa di ceci che il giovane odierà per il resto della sua vita. Tuttavia, quel trasferimento in una della aree più claustrofobie del palermitano si rileverà drammatico per questioni ben più serie di un piatto sgradito di legumi.
Sono gli anni Ottanta, è l’Italia che vince il Mondiale al Santiago Bernabeu di Madrid e si racconta attraverso personaggi dimenticati, una cultura popolare che l’autore dimostra di conoscere per proprio vissuto, oltre che per la brillante penna ormai affinata da anni di giornalismo sportivo tra le pagine de La Gazzetta dello Sport e gli studi di Sky. È l’Italia, però, in cui comincia a farsi largo lo scandalo dei preti pedofili, tante volte coperti dalla stessa Chiesa o, come nei casi più gravi, trasferiti semplicemente di domicilio quando la comunità non addita esclusivamente la vittima ma si unisce nella denuncia contro la parrocchia.
Purtroppo, Tonino non sfuggirà a questo triste destino e dal momento che subirà gli abusi di un prete sul suo corpo giovane si ritroverà a dover ricostruire il significato della propria esistenza con grande delicatezza, cercando di eludere il senso di colpa che fatica a lasciar andare e la rabbia che monta verso il prossimo, verso chiunque non sia Tania, la dolce vicina di casa che lo aiuta con i compiti e gli regala qualche ora di gioco e spensieratezza.
Quello di Giovanni Di Marco è un libro crudo e delicato al contempo, una storia di formazione che muove i propri passi nel dolore, un libro di denuncia verso anni e pratiche buie di cui la Chiesa si è spesso macchiata, un romanzo che attraversa la Sicilia e l’entroterra palermitano mettendo in scena la restaurazione di un bambino che si sgretola sotto i colpi più crudi che la vita possa offrire e, poi, torna su con grazia e ostinazione.
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