Governo di alto profilo. Lasciamoli lavorare. Due frasi, tra le più frequenti, che circolano sui quotidiani in occasione della formazione di nuovi esecutivi ma che, a onor del vero, non hanno mai corrisposto alla realtà, rivelandosi persino anticipatrici di governi di breve durata. Da quelli a guida dell’ex Cavaliere al più recente del super banchiere, che – salvo la sua indiscutibile personalità e la presenza di alcuni ministri tecnici di indubbia fama internazionale – hanno consegnato al neo Presidente del Consiglio un Paese con migliaia di aziende fallite e conseguenti licenziamenti, povertà ai massimi storici, inflazione all’8.9% a settembre e bollette con importi oltre ogni limite e possibilità di pagarle.
Un governo, quello di super Mario, che ha beneficiato di un ulteriore appellativo, dei migliori, accompagnato sin dalla sua nascita dalla solita litania e una sola forza politica all’opposizione, quella uscita vincitrice alle recenti elezioni, la cui leader oggi guida il Paese sulla scia del banchiere e la consulenza di un suo ministro: misteri della politica o un’ipoteca per la Presidenza della Repubblica?
Quello che in questi giorni chiede la fiducia dei due rami del Parlamento, invece, è anch’esso un governo ritenuto di altissimo profilo e, come se non bastasse, definito una novità: dieci ministri su ventiquattro già presenti nel Berlusconi IV, oltre allo stesso Presidente che – è bene ricordare – ha votato assieme ai suoi colleghi di oggi e di ieri la Legge Fornero, il Lodo Alfano, il legittimo impedimento, i tagli all’istruzione e all’università, lo scudo fiscale, la fiducia alla legge bavaglio sulle intercettazioni. Ma è roba del passato, lasciamoli lavorare.
Dall’alto profilo dei Presidenti di Camera e Senato ad alcuni neo Ministri i cui incarichi sono in aperto conflitto di interessi come quello alla Difesa, già sottosegretario allo stesso Ministero nel 2008, imprenditore attivo nel ramo del materiale bellico, come anche quel Ministero del Turismo affidato a chi ha interessi proprio nel settore. Chi ha voglia e tempo per conoscere meglio le storie personali, i coinvolgimenti in attività e rapporti con la giustizia, è bene che effettui una ricerca su Google. Ma anche per loro suonano le note del coro del lasciateli lavorare.
Una per tutti merita, però, una citazione a parte, la leghista Alessandra Locatelli, neo Ministra della disabilità assurta agli onori della cronaca con grande soddisfazione di parte della cittadinanza di Como e dintorni dove da Sindaca vietò l’elemosina ai poveri multando anche un sacerdote che portava la colazione ai senzatetto. Fece sparare getti d’acqua fredda alle cinque del mattino sui clochard che dormivano sotto i portici dopo aver negato ai volontari l’autorizzazione ad aprire un dormitorio, poi nel 2018, in occasione del no del Quirinale alla nomina a ministro di Paolo Savona, dispose la rimozione delle foto del Capo dello Stato – lo stesso presso il quale ha giurato giorni fa da ministra – in tutti gli uffici pubblici. Cose da leghisti, ma ora è meglio lasciarli lavorare.
E, a proposito di leghisti, l’ex Ministro dell’Interno con sede al Papeete, oggi alle Infrastrutture, ha fatto sapere di essere al lavoro per riaprire i cantieri ma soprattutto ha incontrato i vertici della guardia costiera per difendere i confini e fermare le ONG. Un occhio al ponte sullo Stretto, opera che vorrebbe legare al suo nome, e l’altro sempre alla sua attività preferita. E l’occasione gli si è presentata subito, puntuale: la scomparsa di due bambini a causa di ustioni gravissime riportate a seguito di una esplosione avvenuta su un barcone diretto a Lampedusa.
È solo l’inizio della ripresa di un’attività cominciata con il primo governo Conte nel silenzio dello stesso Presidente del Consiglio oggi paladino di una sinistra tutta da capire, tutta da scoprire. Ma lasciamolo lavorare, il Vicepremier, e non mancheranno le sorprese. Così come i problemi per la o il Presidente del Consiglio in carica non tarderanno a venire. Il fuoco amico si farà sentire a fasi alterne e l’ex Cavaliere ha già ampiamente messo in guardia la coalizione, minoranza o maggioranza, qui le fila le muovo sempre io e il segnale è più che inequivocabile.
Questa volta, a differenza di altri analoghi momenti, il lasciamoli lavorare sembra che lo dicano a gran voce anche le opposizioni con le vuote e insipide dichiarazioni che ricordano quelle di personaggi di una Napoli ormai passata. I guappi di cartone assicurano un’opposizione dura e intransigente e poi, alla prova dei fatti, il silenzio più cupo. Siamo, però, solo all’inizio di una fase che tutti sembrano già conoscere di breve durata ma che serberà più di una sorpresa. Guai a sottovalutare chi nel bene e nel male ha percorso un cammino lungo e ricco di esperienze, una militanza ancora fatta sui territori attraversando tutte le fasi di cambiamento e sopravvivendo a esse. Siamo solo agli inizi, lasciamoli lavorare.
Nel frattempo, la sinistra uscita a pezzi per scelta non sembra aver bene capito la lezione. Il Partito Democratico continua imperterrito il suo cammino con la stessa classe dirigente perché squadra che perde non si cambia. La parola dimissioni non fa parte del proprio modo di intendere la politica, il congresso in preparazione lo gestisce chi già dovrebbe essere a Parigi con il capo cosparso di cenere.
Terminate le fasi di rito, la fiducia delle Camere e le nomine dei sottosegretari, il governo è nelle piene funzioni, i primi segnali che fanno consenso e quindi giù i cori del lasciamoli lavorare. L’auto grigia rigorosamente italiana e la presa di distanza da un linguaggio troppo vicino a un modo femminista, il Presidente del Consiglio tira comprensibilmente dritto, almeno per ora riuscendo a dimostrare una sufficiente autonomia. La sinistra, ovvero ciò che resta di quella nominale, continua a grattarsi gli attributi; quella impegnata a recuperare i fondamentali snobbata da quanti si accontentano di difendere posizioni che poggiano sul vuoto o magari su quei seggi conquistati e difesi con i denti.
Il domani è già oggi e il tempo inesorabilmente scandisce le sue ore, i mesi e gli anni. Fondare la propria azione sulla speranza di vita breve dell’attuale esecutivo non è la strada più idonea per trasformare il dissenso degli elettori in facile consenso. Ricostruirsi una verginità è non solo complicato ma quasi sempre impossibile e questo qualche recente realtà lo ha ben compreso cogliendo non solo i malumori di un certo elettorato ma riscoprendo quei pochi ma sani valori di una sinistra che sa da che parte stare.