Sono un milione 960mila, in Italia, le famiglie in povertà assoluta, pari a 5 milioni 571mila persone, il 9.4% della popolazione residente. Il reddito di cittadinanza raggiunge poco meno della metà dei poveri assoluti (44%), mentre sarebbe opportuno assicurarsi fossero raggiunti tutti coloro che versano nelle condizioni peggiori, partendo dai poveri assoluti, garantendo anche adeguati processi di inclusione sociale. I dati INPS riferiti a luglio di quest’anno per quanto attiene il rdc sono relativi a oltre un milione di famiglie con 2.49 milioni di persone coinvolte con assegni dall’importo medio di 551 euro.
Questi, in sintesi, i numeri del ventunesimo Rapporto Caritas su povertà ed esclusione sociale, risultato di un’attenta analisi che la Caritas ha svolto con i suoi circa 2800 centri di ascolto presenti su tutto il territorio nazionale e vicini ai meno abbienti, intervenendo concretamente nell’anno 2021 con circa un milione e mezzo di aiuti per un importo complessivo di circa 15 milioni di euro. Numeri che, seppure impressionanti, non riescono a rendere pienamente una realtà preoccupante, aggravata – come tiene a precisare anche il rapporto – dai costi esorbitanti delle bollette che da qualche mese costituiscono l’oggetto principale delle richieste di aiuto ai centri che registrano, anche per quest’anno, un aumento considerevole delle presenze alle mense e per gli aiuti alimentari.
Più del 70 per cento delle richieste sono di carattere economico. Non si tratta sempre di nuovi poveri ma anche di persone che oscillano tra il dentro e fuori dallo stato di bisogno. Tra questi, coloro che, pur lavorando, sono poveri (working poor), oggi rappresentano il 13% degli occupati. Il 23.6% di quanti si rivolgono ai Centri di Ascolto sono lavoratori poveri. Uno studio attento che nella sua conclusione esprime valutazioni politiche di contrasto alle povertà vecchie e nuove e con particolare attenzione alle prospettive di riforma e investimento relative al PNRR e al programma comuitario Next generation EU.
Agli osservatori, a chi si interessa di informazione, non sembra che la classe politica si stia stracciando le vesti per avanzare proposte di sviluppo per il lavoro o formule adeguate per l’avviamento di giovani e meno giovani a progetti di lungo respiro. Eppure il tema che è prevalso in tutta la campagna elettorale è quello del reddito di cittadinanza che, pur necessitando di una più seria e rigorosa regolamentazione, dalla probabile prossima Presidente del Consiglio ad altre forze politiche anche di opposizione appare come problema più urgente, con conseguente abolizione o altre forme comunque tese a un significativo ridimensionamento, soltanto per penalizzare i pentastellati.
L’obiettivo non è un reddito per tutti ma un lavoro per tutti. Senza lavoro per tutti non ci sarà dignità per tutti. […] Bisogna guardare senza paura e con responsabilità alle trasformazioni tecnologiche dell’economia e non bisogna rassegnarsi all’ideologia, che sta prendendo piede ovunque, che solo la metà o i due terzi dei lavoratori lavoreranno, gli altri invece mantenuti da un assegno sociale. […] Senza lavoro si può sopravvivere ma per vivere occorre il lavoro. – dal discorso di Papa Francesco agli operai dell’ILVA di Genova
Fin qui dati e riflessioni su un tema certamente non nuovo ma in continua evoluzione. Un dramma che talvolta neanche i rapporti più minuziosi e attenti riescono a cogliere, famiglie con redditi zero, figli senza lavoro, bambini e adolescenti vittime di una povertà ancora peggiore, educativa e scolastica, come più volte segnalato da Save the Children: privazione da parte dei bambini e degli adolescenti della possibilità di apprendere, sperimentare, sviluppare e far fiorire liberamente capacità, talenti e aspirazioni.
Tutto questo quadro quanto più desolante se si volge lo sguardo allo spreco di risorse impiegate in direzione della morte anziché della vita, in forniture belliche all’Ucraina e in aumento delle spese militari: il Ministro della Difesa Guerini ha annunciato un miliardo e 200 milioni in più per forniture all’Ucraina e la spesa per l’anno in corso a 18 miliardi contro i poco più dei 16 dello scorso anno. Tutto questo sempre che il conflitto non si sviluppi ulteriormente con i risvolti drammatici facilmente intuibili. Risorse subito reperite sacrificando probabilmente anche altri capitoli di spesa come scuola e sanità, tutto nell’indifferenza generale di un’opinione pubblica e da forze politiche che, a distanza di quasi otto mesi dall’inizio dell’invasione Russa in Ucraina, ancora non trovano un accordo per manifestare per la pace.
Dopo aver fornito ogni tipo di armamento, gli stessi partiti di governo incapaci di presentare una proposta di tregua immediata e la costituzione di un tavolo di discussione per un graduale disarmo totale, annunciano la partecipazione alla manifestazione del prossimo 5 novembre, una mano sporca di sangue e l’altra con la bandiera della pace. Una manifestazione annunciata senza vessilli di nessun partito tra quelli delle forniture e degli aumenti di spesa per gli armamenti, forse per nascondere meglio l’altra faccia. Impossibile, tuttavia, per rifarsi una verginità.
Passerà quest’anno e verrà il nuovo, almeno si spera: puntuali arriveranno i rapporti di Caritas e ISTAT e continueremo a contare quanti avranno vissuto in povertà assoluta, che ci auguriamo non si tramuti in estrema. Continueranno le faide politiche sugli aiuti ai poveri ma non sugli strumenti da fornire per dare lavoro a uomini e donne, ai giovani sempre più in fuga da una terra che da tempo non promette più alcun futuro. Continueremo a contare i morti, centinaia, migliaia, milioni in nome di conflitti che appartengono unicamente agli interessi di poteri economici che ora più che mai regolano le nostre vite.