Un giorno di fine ottobre del 1962. Febbre alta da un po’. Il medico di famiglia, intervenuto per visitarmi, aveva un volto diverso dal solito, teso, preoccupato, tanto da lasciare intendere che la situazione presentasse qualche problema. Alla domanda di mia madre, rispose in maniera secca e categorica: «Siamo in guerra».
La televisione era patrimonio di pochi, la radio, unica voce, quasi sempre spenta per non sprecare energia elettrica. Ma, quel giorno, Radiosera delle 20, dopo aver atteso che si scaldassero le valvole, fu un susseguirsi di notizie e dichiarazioni che presagivano l’ormai imminente terza guerra mondiale tra le due principali potenze, Stati Uniti e Unione Sovietica. I missili di quest’ultima installati a Cuba ad appena novanta miglia dalla Florida, con lo scopo di fornire una capacità di attacco nucleare contro l’emisfero occidentale, come affermò il giovane Presidente americano John Fitzgerald Kennedy nel corso del celebre discorso al Paese.
Tutto si risolse in pochi giorni, quando Krusciov offrì di ritirare i missili a patto che gli USA si impegnassero a non invadere Cuba e contemporaneamente smantellare i loro apparati in Turchia. Due leader trattativisti – e la mediazione discreta di Papa Giovanni XXIII – che, ironia della sorte, di lì a poco scomparvero dalla scena mondiale: nel novembre 1963 Kennedy venne ucciso a Dallas, mentre appena qualche mese dopo Krusciov fu detronizzato. Falchi americani delusi e il Capo del Cremlino accusato di debolezza.
Un momento di grande tensione, quello, che il Presidente Biden ha ricordato in questi giorni paragonandolo ai rischi della guerra in corso in Ucraina a seguito dell’invasione da parte delle forze armate russe. Tensione, paura, reazione popolare immediata nel 1962, fievole quella nelle settimane che stiamo vivendo. Discussioni su manifestazioni da fare, distinguo inaccettabili, mobilitazioni promesse a uso e consumo di parti politiche.
Certo, un minimo di imbarazzo è anche comprensibile. Mobilitare le piazze del Paese dopo aver fagocitato la guerra con ogni mezzo possibile, per poi scoprirsi improvvisamente pacifisti, è piuttosto complicato, se non ridicolo, ma per la pace tutto passa in secondo ordine, anche le miserie della politica piccola e mediocre di casa nostra.
Parlare di pericolo nucleare sembra non faccia poi tanta paura. Sarà l’effetto dei due anni di reclusione forzata per la pandemia o, forse, per quel senso di fatalismo che i tempi che viviamo ci hanno abituato ad accettare, problemi su problemi, tanto che neanche il pericolo di una catastrofe sembra scalfirci minimamente. Sessant’anni fa, al solo annuncio di una possibile nuova guerra, ricordo le provviste che, nei limiti delle possibilità del momento, tutti cercarono di fare memori delle sofferenze del conflitto che poco prima aveva seminato morte, terrore e privazioni.
L’eccesso di discutibile informazione martellante a opera della televisione e anche dei social, i cui argomenti più seguiti sembrano essere quelli di gossip e frivolezze varie suscitando maggiore attenzione di dibattiti su politica, tensioni internazionali e umanità, evidentemente provoca fastidio, insofferenza, rifiuto di ragionare con la propria testa. Piuttosto, si preferisce delegare a organi di dubbia imparzialità ogni giudizio.
Inaccettabile è l’immobilismo dell’opinione pubblica al cospetto di una possibile tragedia. Il rapporto ormai reciso con la classe dirigente occorre sia sostituito da iniziative di movimenti, comitati, organizzazioni religiose e laiche e da quelle forze politiche, seppur minoranze nel Paese, attente a temi sensibili come la pace e il disarmo, creando da subito una rete capace di far sentire la propria voce nelle piazze fin quando non verranno avanzate serie proposte per una tregua immediata e successive trattative per il raggiungimento di accordi duraturi.
Da Berlino a Oslo e Madrid, imponenti manifestazioni di giovani e meno giovani per chiedere la fine della guerra in Ucraina, per una pace possibile, un’iniziativa decisa dell’Europa che abbandoni posizioni che non fanno altro che dare man forte alla guerra, facendo proprie le parole di Papa Francesco: «Il mio appello si rivolge innanzitutto al Presidente della Federazione Russa, supplicandolo di fermare, anche per amore del suo popolo, questa spirale di violenza e di morte. D’altra parte, addolorato per l’immane sofferenza della popolazione ucraina a seguito dell’aggressione subita, dirigo un altrettanto fiducioso appello al Presidente dell’Ucraina a essere aperto a serie proposte di pace». Non dopo aver detto a chiare lettere: «In Ucraina terza guerra mondiale causata da imperialismi in conflitto».
Perché è questa la verità e l’Europa, ancora una volta assente, con una linea autonoma rischia di assumersi una grave responsabilità su di una catastrofe e sul rischio della sopravvivenza stessa del continente.
Pace e disarmo per la fine di tutte le guerre, quelle tristemente note e quelle dimenticate, di difficile realizzazione ma attuabilie. I have a dream, gridava Martin Luther King, un cammino tortuoso, ma possibile soltanto mediante il risveglio delle coscienze, l’abbattimento degli egoismi, la convinzione che o ci si salva tutti o nessuno.