Prima che qualcuno se ne esca con un perché la pillola concezionale sì e il cibo no, non tanto diverso da quel perché gli assorbenti sì è il pane no urlato quando richiedevamo – invano – di liberarci della Tampon Tax e pareva ci fosse sempre qualcosa di più importante in lista, premettiamo che la discussione dell’Aifa per rendere gratuiti i farmaci anticoncezionali è già stata rimandata.
Annunciato solo mercoledì scorso, infatti, il dibattito è stato messo in pausa e, molto più probabilmente, rimandato per sempre. Il 5 ottobre l’Agenzia italiana del farmaco ha iniziato a discutere sulla possibilità di rendere la contraccezione ormonale gratuita per le donne sotto i 25 anni. Già il giorno dopo, però, la Commissione tecnico-scientifica e il Comitato prezzi e rimborsi hanno deciso di prolungare ulteriormente l’istruttoria rimandandola a quando, di fatto, il governo e i membri che verranno chiamati a decidere saranno cambiati. Tanto rumore per nulla, dunque, visto che difficilmente un esecutivo di centrodestra avrà a cuore i diritti riproduttivi di una popolazione che non figlia.
La contraccezione, per l’Italia, è un tasto dolente. Così come per la questione aborto – di cui temo sentiremo parlare spesso –, quando ci sono di mezzo i diritti legati all’autodeterminazione delle persone, e delle donne soprattutto, la legge non sempre basta a tutelarli. Nascosti dietro la scusa della fede che, comunque, non ne giustificherebbe l’assenza in uno Stato laico, sono le scuole i luoghi da cui parte l’inesistenza dei diritti riproduttivi, luoghi oscuri nei quali si può studiare che Enrico VIII ha avuto duecento mogli e che lo stupro di guerra era pratica comune, però di educazione sessuale, per carità, meglio non parlare.
La scuola dovrebbe farsi carico di ciò che le famiglie non riescono a fare, ovvero affrontare senza pregiudizi morali i temi legati alla sfera sessuale, alla contraccezione, alla protezione dalle malattie sessualmente trasmissibili e all’importanza del consenso. Eppure, l’Italia è uno dei pochissimi Paesi europei (insieme a Bulgaria, Cipro, Lituania, Polonia e Romania) a non prevedere l’educazione sessuale nei programmi di studio.
Ma se lo Stato non è in grado di assumersi la responsabilità di formare i giovani riguardo la propria salute riproduttiva, il consenso, le scelte di vita e l’autodeterminazione che gli strumenti contraccettivi permettono, dovrebbe perlomeno garantire l’accesso ai diritti riproduttivi a tutti. E a dirlo non sono convinzioni o ideologie personali e opinabili, ma la stessa legislazione italiana che, teoricamente, stabilisce che essi debbano essere disponibili per tutti. Parlarne solo ora, e solo per le giovani sotto i 25 anni, non basta.
La Legge 405 del 1975 prevede che è compito dello Stato garantire i mezzi per una procreazione responsabile. Introdotto per l’istituzione dei consultori, l’articolo 1 stabilisce anche che la procreazione è una scelta e che i consultori devono fornire gli strumenti – compresi i metodi contraccettivi – per evitare gravidanze indesiderate. Nell’articolo 4 questo compito è reso ancora più esplicito poiché si parla di onere delle prescrizioni di prodotti farmaceutici totalmente a carico del consultorio stesso o dell’assistenza sanitaria. Ed è anche specificato che il servizio gratuito è destinato a tutti, cittadini italiani, stranieri residenti e chiunque si trovi anche solo temporaneamente sul territorio nazionale.
Insomma, mentre il legislatore del 1975 era più avanti di quanto noi oggi potremmo mai essere, l’Agenzia italiana del farmaco torna sui suoi passi, dopo aver lentamente reso, nel corso degli anni, i farmaci anticoncezionali prodotti il cui acquisto è totalmente a carico dei cittadini. E oggi, che i contraccettivi ormonali costituiscono un mercato di 200 milioni di euro, renderli gratuiti diventa più difficile.
Se questa somma – insieme a quella di tutte le persone che non assumono contraccettivi perché non possono permetterseli e che invece lo farebbero se fossero a carico dello Stato – sembra esorbitante, è bene sapere che in realtà attualmente lo Stato sostiene uscite di gran lunga maggiori. Tutte le spese per i sussidi alle famiglie con figli che non avrebbero scelto di avere e che non possono mantenere, così come il costo delle procedure abortive, sono molto più gravosi di quei 200 milioni di euro per la contraccezione. Ma, forse, non è davvero una questione di soldi poiché quando si parla di diritti riproduttivi, in Italia, non c’è poi così tanto interesse ad agire.
L’European Parliamentary Forum of Sexual and Reproductive Rights stila annualmente un report relativo all’accesso ai mezzi di contraccezione, all’informazione a riguardo e sul livello di pianificazione familiare su 46 Stati europei. Se ai primi posti ci sono i Paesi che hanno educazione sessuale nelle scuole e contraccettivi gratuiti per le donne entro una certa soglia d’età, l’Italia si trova molto in basso in classifica, accanto a Lettonia, Lituania, Serbia, Turchia e Ucraina, tra le nazioni che meno tutelano i diritti riproduttivi.
In effetti, non sorprende che in un Paese in cui si cerca di ostacolare l’interruzione volontaria di gravidanza non esista educazione né supporto alla contraccezione. Avere cittadini liberi, avere cittadine in grado di decidere per i propri corpi e per la propria vita, non pare chiaramente una priorità. Ma non è di priorità, di orientamenti politici e di ideologie che si dovrebbe parlare, quanto dei diritti che ogni Stato è tenuto a garantire e che l’Italia, invece, non tutela affatto.
Secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità, i diritti riproduttivi riguardano il diritto di tutti di prendere decisioni in materia di riproduzione, senza discriminazione, coercizione o violenza. E mi chiedo come si possano non vedere la discriminazione e la coercizione di uno Stato in cui alle persone povere è negata la contraccezione e alle donne in generale è negata una vera e propria scelta.