Per chi non lo sapesse, l’OSS è l’operatore socio-sanitario che, a seguito di un attestato di qualifica, conseguito al termine di specifica formazione, svolge attività indirizzate a soddisfare i bisogni primari della persona in un contesto sia sociale che sanitario. Questa la definizione dalla Conferenza Stato Regioni 22/2/2001. Nella primavera 2022, però, la Regione Veneto ha tirato fuori dal cilindro dei rammendi alla sanità un progetto sperimentale per la formazione del Super OSS per le strutture socio-sanitarie residenziali e semiresidenziali.
L’esodo di professionisti sanitari infermieri dalle RSA è stato sorprendente con l’avvento della pandemia che ha soltanto acuito problematiche già esistenti in passato. La politica, invece di interrogarsi sui motivi della mancanza di attrattività di tali strutture per un professionista sanitario laureato, ha deciso di mettere l’ennesima “toppa” a un sistema che palesemente non funziona. Basta leggere il report sulle criticità riscontrate nelle RSA rilevate dall’Istituto Superiore di Sanità (Survey nazionale sul contagio Covid-19 nelle strutture residenziali e sociosanitarie). Sarà la mancanza di regolamentazioni (anche contrattuali) dentro queste strutture a causare l’esodo di infermieri laureati? Saranno le mancate indennità di turno? Saranno i rapporti assistenziali inumani tra numero di ospiti e infermieri?
Quando l’offerta di lavoro – dato anche l’incessante invecchiamento della popolazione – è altissima ma la risposta è molto bassa, c’è qualcosa alla testa di tutto il sistema che non va. E allora la Commissione Sanità del Consiglio veneto, dopo aver ascoltato anche i rappresentanti degli Ordini professionali e degli Enti di assistenza, approva un percorso di formazione per operatori socio-sanitari, i cosiddetti Super OSS che di super hanno il super ruolo di tappabuchi in una sanità che è il fanalino di coda di tutti i programmi politici. La FNOPI (Federazione nazionale degli ordini delle professioni infermieristiche) calcola manchino 60mila infermieri in Italia senza contare quelli previsti da PNNR.
Assumere più unità e pagare maggiormente chi lavora nelle RSA, equiparando gli stipendi non solo alla media europea ma a quelli dei colleghi negli ospedali, non deve essere piaciuto come ragionamento in un’ottica di risparmio sulla vita delle persone. Sì, perché alla fine, la vittima del risparmio è sempre l’utente. L’ospite, in questo caso.
Se una professione è impegnativa e comporta responsabilità elevatissime con stipendi e tutele esigue non serve il genio della lampada per capire che essa non risulterà attrattiva per il professionista. Iniziare a equiparare gli stipendi degli infermieri italiani con quelli dei colleghi europei non solo aumenterebbe l’attrattività della professione infermieristica ma farebbe anche diminuire i tassi di abbandono della professione stessa.
Anche la Regione Lombardia prende spunto dal Veneto istituendo un progetto sperimentale sull’OSS con formazione complementare. Così come nel programma elettorale della Lega di Salvini troviamo il seguente punto: Istituzione di una figura intermedia di Operatore Socio-Sanitario “specializzato” che consenta una più equilibrata e qualificata distribuzione del lavoro tra le diverse figure professionali presenti in struttura. Vorrei ricordare che per questa “specializzazione” l’unico criterio di accesso è la conoscenza del livello B2 della lingua italiana per il personale straniero. Per l’accesso al corso di formazione OSS sono richiesti il diploma di scuola dell’obbligo (licenza media) e compimento del diciottesimo anno di età alla data di iscrizione al corso. Praticamente sottoscrivono di utilizzare gli OSS come forza lavoro, a basso costo, in sostituzione della carenza infermieristica come spesso e volentieri succede con gli infermieri per la carenza di medici.
Il fatto più eclatante è che, in realtà, la formazione dell’OSSS (con la terza S) non è un concetto nuovo. Già nel 2003 è stato istituito il percorso della formazione complementare da un accordo tra i Ministeri della Salute e del Lavoro e le regioni/provincie autonome. Un percorso di specializzazione per gli OSS più motivati che però non ha mai preso piede in campo pratico. Questo perché l’OSS non è ascrivibile al novero delle professioni sanitarie.
Se si pensa di poter far fronte alla carenza di infermieri con figure tecniche non laureate né iscritte agli albi il rischio è di poter cadere continuamente nell’abuso di professione. Questo non giova di sicuro alla figura dell’OSS che vedrebbe aumentare solo le proprie mansioni senza un aumento concreto di stipendio e di tutele legali. Un vero suicidio nel mondo moderno della sanità dove la medicina difensiva regna incontrastata.