La medicina difensiva è originariamente definita come la paura di un contenzioso per negligenza. Gli operatori sanitari deviano quindi dalla pratica medica motivata spinti dal desiderio di ridurre l’esposizione a suddetti contenziosi. È generalmente suddivisa in:
– positiva, quando il medico implementa il proprio operato prescrivendo esami diagnostici o terapie non necessarie e superflue al fine di ridurre la possibilità che un paziente possa in futuro fare causa per malasanità, imperizia o negligenza;
– negativa, quando i medici si rifiutano di curare i pazienti ad alto rischio o escludono a priori prestazioni rischiose.
Vi sono anche motivi autoprotettivi che spingono a effettuare medicina difensiva e vengono raggruppati, dalle evidenze, in categorie:
– paura dell’insoddisfazione del paziente: gli studi affermano che avere scarsa relazione medico-paziente motiverà i medici a condurre medicina difensiva al fine di stabilire una migliore relazione con il paziente;
– paura di essere esposti a violenza verbale e/o fisica da parte dei pazienti;
– pressione esercitata da una crescente popolazione di pazienti “consumistici” e/o parenti che richiedono specifici test ed esami medici più o meno indicati;
– paura di trascurare una diagnosi grave;
– paura della pubblicità negativa e medicina difensiva inconscia;
– paura della pubblicità negativa e dei media che sono negativamente prevenuti nei confronti dei medici. La tendenza ad applicare la cultura della colpa mette infatti alla gogna professionisti sanitari anche al di fuori delle aule di tribunale.
Il termine DM (defensive medicine) ha avuto origine nella letteratura di ricerca medica degli Stati Uniti alla fine del 1960. È associato all’aumento dei costi sanitari, al sovratrattamento e alla diminuzione della fiducia nella relazione medico-paziente. I pazienti sono portati a diffidare delle motivazioni dei medici e i medici a considerare i pazienti come potenziali querelanti. È davvero questo il rapporto di cura che ci auspichiamo nel futuro? Questo fenomeno, oltre a poter mettere a rischio la salute del paziente, aumenta i costi sanitari e disintegra il rapporto tra le parti.
Nonostante i professionisti abbiano delle assicurazioni sanitarie, spesso, questi ultimi manifestano sintomi di ansia, depressione o cambiamenti di personalità correlati a paura di contenziosi. Non è un caso che il concetto di MD (medicina difensiva) sia nato negli Stati Uniti e sia più frequente nei Paesi ad alta densità di avvocati. L’Italia ha fatto registrare la più alta percentuale di cause legali giudicate in tribunale per condotta medica non professionale in Europa.
Ogni anno, nel nostro Paese, vengono intentate 35600 nuove azioni legali mentre ne giacciono 300mila nei tribunali contro medici e strutture sanitarie pubbliche. Nella maggior parte dei casi queste cause si traducono in un nulla di fatto poiché il 95% di esse nel penale e il 70% nel civile si concludono con il proscioglimento. Il costo complessivo, però, si aggira intorno ai 12 milioni di euro. La MD sembra essere recepita come un problema meno rilevante in nazioni europee (ex: Paesi scandinavi) dove le lamentele dei pazienti possono essere preventivamente affrontate in luoghi alternativi ai tribunali (ex: i comitati disciplinari medici).
Idealmente, una gestione di buon senso degli illeciti civili dovrebbe indurre risarcimenti:
– improbabili a seguito di danni alla salute irrilevanti;
– certi solo per pazienti seriamente danneggiati da episodi di grave negligenza medica.
Come mai, questo fenomeno, è un problema che riguarda tutti? E come mai il contrasto alla medicina difensiva dovrebbe rientrare anche nei programmi elettorali dei partiti che hanno a cuore il futuro dell’Italia? Ogni anno il surplus di spesa sanitaria connessa a finalità terapeutiche non necessarie è di miliardi di euro. Si valuta che i costi della medicina difensiva positiva valgano attualmente 10 miliardi di euro pari allo 0.75% del PIL. La medicina difensiva contribuisce anche ad aumentare le lunghe liste di attesa di cui abbiamo parlato in un articolo precedente.
Nel 2017, la Legge Gelli ha introdotto il dispositivo in base al quale il professionista sanitario non può essere perseguito penalmente se prova di aver agito nel rispetto delle linee guida. Il medico deve dimostrare e, quindi provare, di aver seguito le direttive e le best practices riconosciute dalla comunità internazionale. Le pratiche e le linee guida devono però essere inserite in un elenco regolamentato con decreto del Ministero della Salute e al contempo pubblicate sul sito dell’Istituto Superiore di Sanità. Per far fronte al problema della medicina difensiva in molti Paesi europei si è deciso di far ricorso a supporti informatici, i Clinical Decision Support System: software che permettono al medico di attingere a database forniti di best practices internazionali, alert e altro ancora.
Nei Paesi dove sono state adottate soluzioni di questo tipo, è stato possibile ridurre del 25% circa gli eccessi di medicina difensiva. Abbiamo tuttavia un altro lato della medaglia poiché, dal momento che la certezza clinica è illusoria e le risposte dei pazienti alle terapie, spesso, imprevedibili, la pratica medica dovrebbe continuare a basarsi anche su esperienza e intuizione.
I medici, quando prendono le proprie decisioni, dovrebbero quindi analizzare sempre e comunque le caratteristiche individuali dei propri pazienti, soprattutto se affetti da patologie multiple. Quindi, se da un lato abbiamo la digitalizzazione come strumento di supporto, dall’altro una necessità sempre maggiore di un ritorno a una relazione di cura basata su un rapporto di fiducia. Rapporto di fiducia che nella fattispecie del medico di medicina generale si instaura soprattutto con il colloquio empatico e con la visita medica. Elementi, negli ultimi anni, ostacolati dall’avvento pandemico che ha semplicemente messo alla luce debolezze e lacune di un sistema territoriale sul quale si è investito sempre molto poco.
In quasi tutti i programmi politici, in vista delle elezioni del 25 settembre, si parla di implementazione della medicina di prossimità e potenziamento del territorio tuttavia non viene esplicitamente fatto riferimento al fenomeno della medicina difensiva e all’ipotetica depenalizzazione dell’atto medico presente in tutti gli Stati democratici.