Quanti di noi si sono chiesti perché la giustizia, nella sua raffigurazione, è bendata? Di solito, quando pensiamo a qualcuno che indossa una benda sugli occhi, immaginiamo la sua difficoltà a muoversi agevolmente, a mantenere l’equilibrio, a riconoscere ciò che gli sta intorno. E invece la dea bendata è tale perché imparziale, perché non ha bisogno di vedere per giudicare, perché lo sguardo potrebbe creare delle discriminazioni.
È una riflessione che mi ha attraversato la mente appena qualche giorno fa, guardando il film Il signore delle formiche, ispirato a una vicenda in cui, del resto, la giustizia non dimostrò solo di essere bendata, bensì anche cieca. Si tratta infatti della storia di un artista che fu processato e condannato per quello che all’epoca – negli anni Sessanta – era il reato di cui all’articolo 603 del Codice Penale, il cosiddetto plagio. In realtà, la persona che era stata sottoposta al suo potere e ridotta in soggezione era il suo innamorato e il processo altro non fu che una spietata caccia alle streghe contro l’omosessualità. Da allora, molte cose sono cambiate, eppure non si tratta dei soli casi in cui la giustizia è servita da strumento di discriminazione in mano ai forti per mantenere lo status quo.
E oggi, a ben pensarci, i temi urgenti riguardanti la giustizia su cui intervenire sono molti, a cominciare dal ruolo che essa stessa ha oramai assunto nelle vite dei cittadini, allontanandosi dalla loro percezione fino a divenire qualcosa di sempre più inconsistente. A nutrire una simile convinzione contribuisce l’atteggiamento della maggioranza dei rappresentanti politici, compresi gli aspiranti dell’attuale campagna elettorale.
Basti pensare al leader della Lega Matteo Salvini che, dopo aver portato avanti per mesi l’urgenza degli interventi riguardanti la giustizia, riversati nel misero referendum dello scorso giugno, fino a sovrapporsi all’agenda di quello stesso governo di cui faceva parte e che attraverso la riforma firmata Cartabia stava tentando di affrontare pressappoco gli stessi temi, ha smesso di parlarne e addirittura li ha fatti scomparire dal proprio programma politico (a vantaggio forse di qualcosa che crede possa aver maggior successo). Di quella crociata contro i cosiddetti magistrati “politicizzati”, però, è rimasta traccia nella paura degli esponenti del centrodestra che da più parti hanno manifestato il timore di un attacco della giustizia ai loro danni, per pregiudicare la propria corsa ai seggi.
Al di là di simili manie persecutorie, comunque, la giustizia è totalmente assente dal dibattito pubblico, come oramai lo è da anni, nonostante il sistema giudiziario nel suo complesso sia al collasso e necessiti di un intervento immediato, a partire dal sistema di reclutamento dei magistrati e la loro carriera, fino ad arrivare al funzionamento dei tribunali, alle lungaggini processuali, alla mortificazione di garanzie che invece sarebbero fondamentali.
Le uniche risposte degli ultimi anni sono state blande o altamente securitarie: anche a fronte di numeri che manifestano una riduzione dei reati e della criminalità, infatti, al centro dei programmi del centrodestra continua ad aggirarsi lo spettro della sicurezza, da ottenere con politiche carcerocentriche e repressive. Anche la stessa emergenza carceraria – fatta di sovraffollamento, condizioni igienico-sanitarie precarie, autolesionismo e il più alto numero di suicidi mai registrato – non viene affrontata quasi da nessuno dei partiti in campo.
Il centrodestra vi fa riferimento esclusivamente per la costruzione di nuovi istituti di pena, per promettere pene più severe e per supportare il personale di polizia che, seppur meriti rispetto e attenzione, non è l’unico elemento su cui intervenire, tantomeno quello risolutivo per rendere le carceri più umane. Solo Sinistra Italiana e Europa Verde, Unione Popolare e + Europa sembrano manifestare un interesse, interrogandosi su quello che è il reale senso della pena e sulla necessità di investire su misure alternative e sulla risocializzazione delle persone detenute. Come abbiamo più volte sottolineato, infatti, la soluzione non può e non deve essere la costruzione di nuovi istituti né la repressione sempre più violenta, ingrossando sistemi di potere che si nutrono di sé.
C’è, comunque, qualcosa che sembra sfuggire a tutti: la grande assente di questa campagna elettorale potrebbe ripiombare con veemenza nella vita di ognuno di noi. Se infatti i sondaggi avessero ragione e la destra riuscisse a ottenere i due terzi dei seggi, complice anche la riduzione degli stessi a seguito del referendum tenutosi lo scorso anno, potrebbe approvare senza fatica riforme anche al testo della Costituzione (e ricordiamo bene la promessa di Fratelli d’Italia di modifica dell’articolo 27 della Carta Costituzionale).
Il ruolo della destra potrebbe rivelarsi cruciale, poi, per la nomina dei membri del Consiglio Superiore della Magistratura e della Corte Costituzionale, intaccando all’interno di tali istituzioni i necessari presidi di garanzia e imparzialità. Questo, per quanto possa sembrarci lontano, colpirebbe le vite di tutti noi, così come tutte le riforme di stampo securitario che saranno approvate in un batter d’occhio. Ciò che ci sembra un fantasma potrebbe invece diventare un mostro in carne e ossa, a dimostrazione di quanto il voto e la rappresentanza di ciascuno facciano sempre la differenza.