Fugace come un peto: non è certamente tra i più eleganti il titolo di un articolo di Oliver Meiler pubblicato alcuni giorni fa sul quotidiano Sueddeutsche Zeitung, uno dei tre maggiori organi di stampa tedeschi, sul facile innamoramento degli italiani per alcuni personaggi politici che – salvo casi particolari – durano, per l’appunto, un tempo breve.
La stampa tedesca non è mai stata tenera con il nostro Paese. Dalle copertine del Der Spiegel con spaghetti e pistole e – più recentemente – forchetta e cappio, agli attacchi del giornale finanziario Boersen Zeitung che nel dicembre del 2020 arrivò addirittura a sollecitare una riflessione sull’opportunità della permanenza dell’Italia nell’eurozona, fino al conservatore Die Welt in pieno periodo pandemico: La mafia sta solo aspettando una nuova pioggia da Bruxelles, mettendo tutto in un calderone, popolo compreso. Così non lo è nemmeno l’ultimo articolo dal titolo becero ma efficace sugli innamoramenti degli italiani, in particolare nei recenti decenni: L’Italia si è innamorata di nuovo, questa volta della postfascista Giorgia Meloni, che proviene dall’angolo più oscuro dello spettro politico.
Oggi la leader di FdI, almeno stando ai sondaggi – corretti, su commissione o fasulli che siano –, ieri Matteo Renzi per arrivare a Silvio Berlusconi, quello tra i più longevi che ha portato gli italiani sull’orlo del precipizio e che ha lasciato segni che ancora questo nostro Paese paga e pagherà nei prossimi anni e non solo in termini economici, secondo soltanto alla follia dell’uomo del tragico ventennio le cui cicatrici difficilmente riusciranno a rimarginarsi anche in futuro.
Certo, quello nei confronti di Giorgia Meloni, in politica da trent’anni, è piuttosto singolare. Di colei che si propone, oggi, come la novità di queste elezioni, forte di aver rappresentato l’unica opposizione al governo consociativo di Draghi e anche della memoria labile di buona parte degli italiani, sfugge infatti che ha votato tutto quanto adesso avversa: dai tagli all’istruzione e alla sanità pubblica, alla Legge Fornero e al legittimo impedimento favorendo Silvio Berlusconi; dallo scudo fiscale anche per il falso in bilancio alla legge bavaglio sulle intercettazioni; contro il taglio dei vitalizi di tutti i parlamentari e delle pensioni d’oro.
Tuttavia, una parte dell’elettorato italiano, complice il vuoto ideologico che ormai dura da tempo, con sorprendente facilità migra da una forza politica all’altra innamorandosi dell’affabulatore di turno dotato di particolare carisma e capacità di “vendita”, arrivando, come nel caso dell’ex Cavaliere, a convincere sulle quisquilie più incredibili, le promesse più assurde che ancora oggi, sotto la soglia dei novant’anni, continua imperterrito a ripetere.
Vero è, come nel caso di Matteo Renzi, che non sempre l’amore è cieco. Quando messo alla prova dei fatti, come in occasione del voto sulla riforma costituzionale che si è tramutato in referendum personale, anche il popolo del facile innamoramento ha utilizzato lo strumento democratico per indicare la via di casa, pure se a volte ritornano. Di vero e proprio innamoramento, invece, è difficile parlare nei confronti del banchiere Mario Draghi, catapultato alla guida del Paese non per volere della ormai arcinota massa elettorale migrante, ma per incapacità della classe politica a svolgere il proprio ruolo in un momento delicato e di particolare rapporto con l’Europa.
Un amore interessato che oggi qualche esponente ha creduto bene di tirare in ballo per tornaconto elettorale, nel silenzio assoluto dell’oggetto del desiderio che pare puntare a ben più alti incarichi ma sempre con un occhio a una possibile riedizione del tutti dentro in nome dell’emergenza che, in queste ore, persino un Calenda super esaltato ha ipotizzato, aprendo anche a Fratelli d’Italia. Quindi un’ipotesi, quella di un possibile governo di emergenza nazionale, avanzata non solo dall’attuale Ministro degli Esteri.
La riflessione del quotidiano tedesco punta il dito su una piaga tutta italiana, quella dell’instabilità e dell’incapacità per una coalizione di governo di rispettare un programma condiviso, dove ciascuna forza politica ha la sola ragione di far prevalere egoismi di parte e, peggio, difendere interessi particolari, non tenendo per niente in conto quel patto elettorale con i cittadini negato o quantomeno disatteso il giorno dopo.
È la crisi di un sistema che, più volte abbiamo ribadito, non regge affatto. Così la classe politica che oggi si ripresenta con lo stesso film, la medesima sceneggiatura, gli stessi attori a ripetere gli ormai logori slogan, tenta di arrivare agli elettori sfruttando la rete ed emulando, invano, il linguaggio di quei giovani dimenticati che sempre più abbandonano il Paese in cerca di un lavoro, qualsiasi esso sia, ma pur sempre un lavoro.
E a nulla servono video e foto di improvvisati candidati camerieri a servizio di un mondo sempre più mortificato come quello della disabilità i cui servizi e risorse gradualmente vengono sottratti a danno di intere famiglie lasciate completamente sole nella più cupa disperazione. Inutili sceneggiate che possono incantare quanti fortunatamente non toccati da una realtà che ha bisogno di fatti, di impegni concreti, di vicinanza delle istituzioni e non passerelle.
Ha ragione da vendere il Sueddeutsche Zeitung relativamente ai facili innamoramenti di parte degli italiani per figure sovrastimate, contenitori vuoti privi di un’identità politica e di autorevolezza e credibilità.
Se il 26 settembre sarà il turno della Meloni, saremo curiosi di conoscere la tempistica di un suo ipotetico esecutivo. Ma non saranno certamente né Mario Draghi né tantomeno Enrico Letta a garantire stabilità e vita a un governo del quale un sistema logoro e corrotto deciderà se la durata sarà fugace come un peto.